Diego Planeta gli innovatori del vino italiano

GLI INNOVATORI DEL VINO ITALIANO 5

Diego Planeta gli innovatori del vino italiano

NELLA MIA CARRELLATA SUI PIONIERI DEL VINO ITALIANO MODERNO, HO TRASCURATO IL SUD ITALIA CHE INVECE PULLULA DI UOMINI RIVOLUZIONARI SPESSO IN FAMIGLIE DI INNOVATORI

Marco De Bartoli gli innovatori del vino italiano

Marco De Bartoli gli innovatori del vino italiano

 

Una cinquina di innovatori del vino del Sud Italia. Sono personaggi straordinari, per intuito, capacità e coraggio anche se spesso non hanno avuto la stessa visibilità degli omologhi piemontesi o toscani a cui la stampa e il mercato hanno dedicato maggiore attenzione e un successo commerciale relativamente più facile.
Gli uomini del Sud sono spesso inquadrati in lunghe storie familiari nelle quali il loro genio si mescola fino a farli apparire come parti di un polittico e non come protagonisti di un ritratto.
Rinnovo la mia richiesta a mandarmi suggerimenti al fine di arrivare a 100 profili di personaggi che hanno cambiato il vino italiano donatella@cinellicolombini.it.

 

MARCO DE BARTOLI

 

Marco de Bartoli si infuriava vedendo la Marsala di qualità mediocre e prezzo bassissimo negli scaffali dei supermercati. Un furore che si scatenava anche su chi chiamava il suo vino Marsala <<perché non è fortificato come il prevede il disciplinare del Marsala vergine>>.
Lui solo, visionario, controcorrente, con una voglia infinita di riscatto per sé e per la sua terra. Produceva Vecchio Samperi a 12 chilometri dalla città dello sbarco dei Mille e metteva in vendita le sue bottiglie con 10-20-30 e 40 anni di età puntando sempre all’eccellenza senza compromessi. Da qui l’esaltazione quanto il suo Vecchio Samperi era servito ai pranzi ufficiali del Quirinale. Per la verità i banchetti di stato finivano quasi sempre coi suoi prelibati nettari biondi che hanno dominato la scena dei vini dolci italiani per decenni.
Marco De Bartoli era un personaggio straordinario. Telefonavi a casa sua e una donna rispondeva in spagnolo sempre con la stessa frase << El señor no está, mañana>>. Se lo andavi a trovare scoprivi che, oltre alle botti, in cantina c’era una collezioni di auto antiquarie di enorme valore. Una passione per le macchine che lo aveva portato a guidare nella “Targa Florio”.
Ricordo una volta fui invitata a un convegno sull’Etna per parlare di turismo del vino mentre lui era presente come Presidente dell’Istituto della Vite del Vino, ruolo che gli permise di rilanciare il Moscato di Pantelleria. Ebbene in quel convegno i produttori di arance si scagliarono contro la regione Sicilia con accuse pesantissime. Io mi vedevo già fra i testimoni del processo e lo dissi a Marco <<e ora che succede?>> e lui <<niente, sono solo parole>>. Lui lo sapeva bene perché fra il 1995 e il 2000 era stato vittima di vicende giudiziarie che lo avevano profondamente amareggiato e da cui era stato assolto “ perché il fatto non sussiste”. E’ morto nel 2011 a soli 66 anni.

 

DIEGO PLANETA

 

Diego Planeta (1940- 2020) aveva una velocità di pensiero araba e un’intelligenza pragmatica da tedesco. Qualcosa di simile all’Imperatore Federico II. Per questo ha fatto cose grandi lasciando il segno in tutte i luoghi in cui ha lavorato: come Presidente dell’Istituto regionale Vite e Vino chiamò Giacomo Tachis e insieme crearono le condizioni per rinnovare la viticoltura siciliana, rivalutando i vitigni autoctoni e dandogli un respiro internazionale. Trasformò le Cantine Settesoli, una comunità di 2000 viticoltori, 6000 ettari di vigneto da lui guidate fino al 2011, in un colosso produttivo da 50 milioni di fatturato annuo. Qui Diego Planeta portò un altro piemontese, il mio compianto amico Carlo Corino che aveva incontrato in Australia, dove lavorava come enologo. Planeta lo convinse a tornare in Italia per un progetto di sei mesi che si trasformò in una collaborazione durata 30 anni.
Infine l’azienda di famiglia diventata una star dell’enologia mondiale. Le 5 cantine Planeta con 350 ettari e spettacolose strutture ricettive

Nicodemo-Librandi gli innovatori del vino italiano

Nicodemo-Librandi gli innovatori del vino italiano

dove la sicilianità si sente in ogni dettaglio. Un progetto partito negli anni 80 su terreni che erano della famiglia da 17 generazioni e diventato colossale. Perché Diego Planeta pensava sempre in grande e aveva le capacità per far funzionare subito questi progetti audaci portandoli al successo internazionale. <<Il nostro è un nuovo modo di pensare il viaggio in Sicilia: Menfi, Vittoria, Noto, l’Etna e Capo Milazzo. Un percorso non casuale, fortemente legato alla diversità dei paesaggi, dei venti, del carattere degli uomini e quindi dei loro vini.>>

 

NICODEMO LIBRANDI

 

Librandi è la prima azienda vitivinicola della Calabria, simbolo e portabandiera del Cirò. Sono partiti dal Gaglioppo, dal Greco coltivati ad alberello e poi hanno chiesto aiuto a esperti del settore viticolo ed enologico -soprattutto del Professor Attilio Scienza – per studiare e esaltare il loro patrimonio viticolo tradizionale. Il progetto ha condotto alla creazione dei “giardini varietali sperimentali” in cui vengono collezionate, analizzate e preservate circa 200 varietà autoctone regionali. Un progetto che rivela la voglia e la determinazione di conservare e attualizzare le varietà calabresi.
Nella tradizione familiare la cantina Librandi produceva sfuso. Nel 1953 i fratelli Antnio e Nicodemo fecero il loro primo imbottigliamento. Negli anni 60 e 70 Nicodemo caricava la macchina di bottiglie e viaggiava per migliaia di chilometri per venderlo in Germania ai ristoranti dei calabresi. Una strategia commerciale semplice che, tuttavia dette ottimi risultati visto che tutt’ora la Germania è il primo mercato estero dell’azienda. E’ stato proprio Nicodemo insieme alla moglie e mia buona amica Vincenza, a portare avanti il progetto affiancandosi poi i figli che alla sua morte, nel 2023, stanno guidando l’azienda.
Oggi Librandi è una realtà produttiva divisa in sei tenute certificate Equalitas e attrezzata per il turismo con un Museo e una foresteria. I vini sono stracarichi di premi da parte delle guide italiane e la stampa specializzata estera.
Il contributo di Nicodemo Librandi al vino calabrese è quindi tutto basato sulla tradizione ed ha avuto una recente conferma nella sua nomina a presidente di ‘Sudheritage’, rete regionale di musei d’impresa. Un riconoscimento che Librandi ha commentato << dare concretezza all’idea vincente secondo cui le forme e i modi del ‘saper fare’ contribuiscono in modo imprescindibile a definire il destino di un territorio>>.

 

SEVERINO GAROFANO

mastroberardino famiglia di innovatori del vino italiano

Mastroberardino famiglia di innovatori del vino italiano

 

Come molti dei personaggi di questa rassegna sulle persone che hanno rivoluzionato il vino italiano in anni recenti, anche nel caso di Severino Garofano conosco meglio i figli Stefano e Renata di lui. Si tratta di due bravissimi professionisti che conservano la memoria del padre (morto nel 2018) producendo splendidi vini, come dimostrano i premi al loro rosato, e curando la cantina del padre come fosse una cosa sacra.
Severino nasce in Irpinia e dopo aver studiato alla Scuola Enologica di Avellino. Appena diplomato, nel 1957, si trasferisce in Puglia, dove inizia la sua lunga storia d’amore con il vitigno Negroamaro. La sua attività è densa di impegni: fa il consulente delle più rinomate aziende del sud Italia, interpreta i vitigni storici locali, fa ricerca, si occupa di legislazione vitivinicola, ricopre numerosi incarichi direzionali con l’Associazione Enotecnici Italiani, pubblica articoli …. Per 50 cura la direzione tecnica della Cantina Sociale di Copertino e, nel 1995, proprio a Coppertino fonda la sua Azienda Monaci, restaurando una masseria della metà dell’Ottocento.

Severino Garofano e la sua famiglia innovatore del vino italiano

Severino Garofano e la sua famiglia innovatore del vino italiano

Il grande contributo di Severino Garofano all’enologia pugliese è raccontato dalle sue stesse parole <<mi sono innamorato del Negroamaro quando il mondo della produzione non era ancora pronto a fidarsi di quest’uva, che dava vini densi, possenti, corposi, neri come il velluto. Fu amore a prima vista>>. Severino cambia il destino di questo vitigno e diventa il patriarca di un rinnovamento produttivo e sociale. Nel 1957, mentre lui è appena arrivato in Puglia, in quella regione c’è la rivolta dei contadini, contro i prezzi troppo bassi delle uve. Si tratta di scontri violenti con impiego delle forze dell’ordine e vittime. Il vigneto salentino viene in parte abbandonato e tutti sentono il bisogno di un cambio di rotta. E’ a questo punto che il giovane Severino Garofano prende il timone e imposta l’uso del Negroamaro verso la qualità, il riconoscimento delle denominazioni e l’uscita dall’anonimato cambiando il destino di un vitigno e di un intero territorio.

 

MASTROBERARDINO

 

La famiglia Mastroberardino produce vino in Irpinia dal Settecento. Una storia di dieci generazioni che, con alterne vicende, la pone come solitario leader della produzione vinicola irpina fino agli anni 90 del Novecento. E’ l’epoca in cui Antonio Mastroberardino introduce i vini della provincia di Avellino fra le più esclusive e prestigiose produzioni mondiali. Un lavoro che beneficia delle pionieristiche azioni compiute, dai genitori e dai nonni nella ricerca e la selezione dei biotipi più antichi al fine di salvaguardare i caratteri più specifici e qualitativi dei vitigni autoctoni. Così come le esportazioni, iniziate alla fine dell’Ottocento in Europa e poi sviluppate con i viaggi di Michele Mastroberardino in America del Nord e in America Latina.
Il merito di questa famiglia è di aver difeso la specificità del vigneto autoctono irpino resistendo alla tentazione di abbandonare la tradizione sostituendola con varietà più produttive e meno pregiate. Un coraggio che ha aperto la strada allo sviluppo produttivo e qualitativo attuale.
Oggi l’originaria azienda Mastroberardino è portata avanti da due rami della famiglia: Piero è a capo delle Mastroberardino
mentre i cugini Paolo e Daniela guidano Terredora.  Piero è prima di tutto un viticultore ma manche Professore Ordinario di Business Management all’Università, pittore, narratore e poeta di grandissimo talento. Daniela Mastroberardino mia ottima amica mi ha succeduto nella presidenza delle Donne del Vino.