GLI INNOVATORI DEL VINO ITALIANO 7
CINQUINA DI RIBELLI: BAROLO BOYS, JOSKO GRAVNER, WALTER MASSA, BIBI GRAETZ, VINI VERI. OGNUNO LASCIA UNA TRACCIA FORTE E POSITIVA MA ANCHE MOLTO SCOPIGLIO
di Donatella Cinelli Colombini #winedestination
Questo gruppo è composto da “bastian contrari” persone che hanno avuto il coraggio di uscire dal coro in modo esplosivo andando contro convenzioni, familiari, colleghi, vicini e persino clienti. Alcuni sono stati considerati un pericolo anziché i pionieri del rinnovamento ma il loro coraggio ha avuto sempre un effetto tonico, anche su chi pensava in modo completamente diverso ha comunque allargato gli orizzonti e ha messo sul tavolo argomenti su cui confrontarsi.
Come sempre, a costo di risultare noiosa, chiedo a tutti un contributo di idee per arrivare a 100 profili di innovatori del vino italiano. Io conosco tante persone ma non conosco tutti e sicuramente ho bisogno del vostro aiuto. Scrivetemi a donatella@cinellicolombini.it
I BAROLO BOYS
In realtà i Barolo boys sono sette e non tutti maschi: Elio e Silvia Altare, Giorgio Rivetti, Roberto Voerzio, Chiara Boschis e Elio Grasso e Lorenzo Accomasso. Accanto a loro, alla fine del Novecento, anche Alessandro e Bruno Ceretto, Enrico Scavino, Beppe e Marta Rinalidi, Beppe Caviola cominciano a sperimentare soluzioni nuove per produrre e affinare il loro vino.
Tuttavia, la storia quasi epica dei Barolo Boys – Langa In riguarda i cinque coraggiosi che, nel 1994, seguirono il giovane italo-americano, Marc De Grazia in un tour di degustazioni negli USA. Un’impresa squattrinata e un po’ guascona ma talmente coraggiosa da fare breccia nel cuore degli appassionati di vino. Il loro nuovo Barolo, maturato in barrique ottenne un successo enorme che presto divenne un successo mondiale. Per capire le difficoltà incontrate da Barolo Boys basta il primo episodio della loro rivolta, nel 1983, il giovane produttore di La Morra, Elio Altare, il più radicale del gruppo, distrusse con la motosega le vecchie botti dell’azienda di famiglia che lo cacciò di casa e lo diseredò. A conquistare gli appassionati di vino di tutto il mondo fu il coraggio di questi piccoli produttori con un enorme passione per il grande vino l’idealismo generoso di opporsi al tradizionalismo e il fatto che rischiavano tutto per affermare il proprio il bisogno di cambiamento.
I vini piemontesi attraversavano una fase difficile con prezzi bassi e un isolamento culturale che favoriva il perpetuarsi di abitudini enologiche discutibili, come l’uso di botti vecchie e, in certi casi, infestate dal brett. L’introduzione in cantina di contenitori piccoli in legno nuovo non fu apprezzato da tutti e, in Piemonte, molti dissero che alterava il vero carattere del Barolo. Io stessa ricordo Carlo Petrini, in un convegno a Vignale Monferrato, alzare la voce contro i tradizionalisti a ogni costo <<è l’odore di sterco quello tipico del Barolo?>>. Una polemica pesante fra modernisti e conservatori che, alla fine, ha aperto nuove vie a tutti ed ha spinto le Langhe verso la sperimentazione e soprattutto ha attratto l’attenzione verso Barolo, Nebbiolo, Barbaresco, Barbera … dando a questi vini un nuovo prestigio con una valorizzazione di cui le Langhe goduto ancora.
A loro è dedicato il film “Barolo Boys storia di una rivoluzione” di Paolo Casalis con la voce narrante di Joe Batianich e due ottimi autori Paolo Casalis e Tiziano Gaja.
JOSKO GRAVNER E L’ANFORA
Gravner è prima un grande produttore e poi un grande innovatore. Nel Collio, a Brda, fra Italia e Slovenia all’inizio Gravner produce ottimi vini tradizionali fra acciaio e barrique: Ribolla Gialla, l’uva principe del Collio e Sauvignon, Rosso Gravner a base di Merlot e Cabernet Sauvignon, un Merlot in purezza battezzato Rujno parola slovena che indica il vino rosso migliore.
Nel 1987 Joško Gravner va in California e gli fanno assaggiare un Savignon fatto con aroma sintetico. E’ la goccia che fa traboccare il vaso e lui dice basta <<voglio tornare all’acqua di sorgente>> e per il vino la sorgente è la Mesopotania, l’Anatolia e il Caucaso dove l’uva veniva fermentata in giare di terracotta.
Durante un altro viaggio, in Georgia decide di portarsi a casa alcune anfore. La Ribolla 2001, la prima che fermenta in contenitori di terracotta georgiani è un ritorno alle origini. Il passo successivo, nel 2012, è l’espianto dei vigneti con uve internazionali per puntare solo su vitigni autoctoni.
<<Quando ho iniziato la macerazione delle uve bianche, ho avuto grossi problemi con le Camere di Commercio (commissioni di certificazione). Il mio vino non era mai nei parametri. Ogni anno veniva bocciato>> Per questo lui è costretto a vendere le sue bottiglie come IGT. www.puntarellarossa.it
Il racconto a ViniVeri nel 2018 esprime tutto il coraggio visionario di Gravner e le difficoltà di introdurre qualcosa di nuovo così come il suo progressivo orientamento alla natura. Alla fine la sua filosofia è sintetizzata dal consiglio ai giovani produttori <<non studiate enologia ma filosofia>> come dire: cercate le ragioni del vivere e non quelle dell’economia.
WALTER MASSA E IL TIMORASSO
Il teatro di questa storia è Tortona, mezz’ora di macchina da Milano in direzione Genova tra la pianura di Marenco e la base dell’Appennino ligure. Siamo nel basso Piemonte in una terra da grandi nebbioli da invecchiamento. All’inizio degli anni Ottanta, Walter Massa inizia a valorizzare il Timorasso, varietà autoctona e quasi dimenticata. Si tratta di un vitigno precoce, poco vigoroso e facilmente attaccato dalla botrite. Caratteristiche che ne avevano favorito l’espianto e la sostituzione con varietà più remunerative e meno impegnative come il Cortese. Ed ecco che arriva, Walter Massa sperimentatore ed esploratore appassionato, vignaiolo eclettico e originale che scommette sul Timorasso e sul suo legame con il territorio. <<Nonostante il disappunto di amici, parenti e vignaioli della zona, ho deciso che il Cortese, non rispecchiava ciò che io volevo esprimere in questo territorio, così ho cambiato radicalmente i miei orientamenti produttivi impiantando il Timorasso>>. Lavorare con vitigni autoctoni estinti è difficile. Io ho impiegato 15 anni per capire il Foglia Tonda e anche Walter Massa non riesce a interpretare bene tutte le vendemmie iniziali e ha dei problemi nel ’91 e ’94. Ma anno dopo anno migliora e crea autentici capolavori di complessità, eleganza, equilibrio e soprattutto identità territoriale. <<Ci consideravano delle mezze seghe, Non ci filava nessuno. Ho dato un senso a questo territorio perché il senso ce l’ha>> racconta Walter Massa. Passano gli anni, cresce la fama del Timorasso dei Colli Tortonesi e di Derthona la sua zona d’origine, cresce il numero delle cantine dedicate allo stesso vino e cresce la qualità e diventa sempre più palpabile l’ipotesi che l’ottima freschezza e la sapidità del Timorasso lo renda il vero rivale dello Chablis.
BIBI GRAETZ TESTAMATTA
Bibi Graetz viene da una famiglia di artisti e nel 2000 fonda la sua cantina sulle colline di Fiesole e più di recente la sposta all’interno del centro storico. Si chiama Aurora ed è nella piazza principale di Fiesole, a pochi metri dall’anfiteatro romano. Si tratta del solo esempio in Italia di urban winery di grandi dimensioni. Anticonformista su tutti i fronti e dotato di una grande sensibilità artistica Bibi è affascinato dalle vigne vecchie, dall’eleganza e dalla purezza dei vini prodotti con le loro uve. Per questo la sua azienda possiede una delle più grandi collezioni di vecchie vigne della Toscana. Ad esse si lega la passione per i vitigni autoctoni, la coltivazione naturale e la scelta di altitudini elevate. 50 ettari sparsi in tutta la Toscana e scelti quasi con senso estetico. In cantina le fermentazioni spontanee i legni vecchissimi portano Graetz a produrre vini peni di personalità.
Anche per i bianchi ha puntato su scelte estreme andando a produrre sull’isola del Giglio in vigneti vecchissimi a ridosso del mare.
Anticonformista e trasgressivo anche nel packaging i vini di Bibi hanno nomi e etichette concepite come opere d’arte. La maggior parte delle etichette sono suoi dipinti ad eccezione di Bollamatta realizzata dalla figlia Rosa. Sono concepite come “manifesti” esplicativi dei vini a cui sono dedicate. Testamatta ha un’etichetta emozionale che ricorda Rothko, Casamatta, Colore e Soffocone. Un vino, quest’ultimo, che dal nome e dall’esplicita immagine sull’etichetta dimostra una voglia di libertà e trasgressione propria degli artisti.
Ed è proprio questa sua capacità di fare cose diverse da tutti gli altri e portare lo spirito libero dell’artista nella produzione del vino che ha fatto grande la cantina di Bibi Graetz
VINI VERI VINI NATURALI
“Eravamo quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo” questo sembra l’inizio del movimento dei vini naturali nati dall’insofferenza per una viticultura e un’enologia troppo manipolatorie, oltre che dal sogno del vino che interpretasse in modo autentico e riconoscibile della sua terra di origine. In effetti il vino fatto artigianalmente, secondo la tradizione dura fino a quarant’anni fa quando si diffonde il desiderio di guadagnare molto e lavorare meno usando la chimica in vigna e in cantina. L’effetto più tragico è la truffa del metanolo (1986) con i suoi 19 morti,
ma la pratica di manipolare i vini fino a renderli irriconoscibili si diffonde ovunque, anche nelle piccole aziende familiari, con il sogno di rendere i propri vini più apprezzati e quindi più cari. E’ in questo momento che qualcuno comincia a dire basta e consapevolmente ad andare verso le origini. Josko Gravner e poi Stanko Radikon, Nico Bensa sul confine tra Italia e Slovenia, seguiti da Dario Princic e Walter Mlecnick mentre in Veneto c’era Angiolino Maule.
Questi pionieri sono a macchia di leopardo: Lino Mag a Barbacarlo, Lorenzo Accomasso a La Morra, il Jazzista Pino Ratto a Dolcetto di Ovada e il biodinamico Stefano Bellotti. Fra loro si conoscono, hanno incontri in cui scambiare notizie sulle sperimentazioni e intanto continuano a togliere: lieviti industriali, attivanti, filtraggi …. Fino al sogno di togliere anche la solforosa su cui, tuttavia, anche Gravner ha espresso dei dubbi puntando al <<meno possibile>>.
Purtroppo i loro vini sono spesso problematici con sentori di riduzione, ossidazione… e c’è chi, come l’enologo Lorenzo Corino (1947-2021), propone di cambiare i parametri di assaggio. In effetti il rischio di produrre vini “difettosi” esiste ma, per questi paladini della natura, è compensato dalla possibilità di rispettare più autenticamente la terra, i vitigni e le annate.
Il numero dei produttori naturali cresce costantemente e alla fine essi fondano un’associazione che viene battezzata provocatoriamente “Vini Veri” per segnare le distanze dall’enologia più diffusa.
Come sempre in Italia, dopo qualche anno “Vini Veri” si scinde e nasce “VinNatur”.