GLI INNOVATORI DEL VINO ITALIANO 8
GLI INNOVATORI “DOLCI” CHE HANNO CAMBIATO IN MODO ELEGANTE: BEPI QUINTARELLI, LOUDOVICO ANTINORI, LIVIO E MARCO FELLUGA, AMPELIO BUCCI, GIULIO FERRARI E I LUNELLI
di Donatella Cinelli Colombini, #winedestination
Ci sono molti modi per cambiare le cose e affermare un’idea differente. C’è chi lo fa urlando la propria insofferenza e chi invece parla sottovoce ma è spinto avanti dalla fiducia nelle proprie idee, il coraggio di uscire dal coro e la tenacia di non fermarsi di fronte alle difficoltà ma di andare avanti raccogliendo sempre più seguaci.
Come vedete dall’importanza dei personaggi che descrivo in questo post, non c’è una graduatoria nella sequenza delle persone raccontate fra gli innovatori del vino italiano ma un ordine casuale dettato, qualche volta dall’affetto, ma più spesso dai nomi che mi vengono in mente pensando a specifici caratteri della loro personalità o della loro opera. Alcuni sono morti ma la maggior parte sono ancora fra noi e ci guidano con l’esempio e la visione. Vorrei che, leggendo queste note, mi suggeriste altri nomi perché io sono una produttrice che abita in un angolo della campagna toscana e non una giornalista che partecipa a eventi e press tour per cui conosco molti ma non conosco tutti i territori del vino con i loro personaggi e la loro storia. Ho bisogno del vostro aiuto per creare la rassegna dei 100 innovatori del vino italiano. Per favore mandatemi i vostri suggerimenti donatella@cinellicolombini.it
BEPI QUINTARELLI PADRE DELLA VALPOLICELLA MODERNA
<<Nel periodo più buio per i vini Valpolicella, tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, l’azienda di Bepi Quintarelli era l’unica fiaccola accesa>> ha detto Christian Marchesini presidente del Consorzio veronese a 10 anni dalla morte di Giuseppe detto “Bepi” Quintarelli.
Tutti gli riconoscono il genio dell’innovatore che ha messo le basi della Valpolicella moderna al punto che il suo nome è sinonimo di Amarone. Un rivoluzionario dal carattere flemmatico, come lo descrivono i suoi amici. Umanità, devozione alla qualità, artigianalità, capacità di interpretare il proprio tempo cercando uno stile contemporaneo del vino, sono i caratteri che lo contraddistinguono. Era subentrato negli Anni Cinquanta del Novecento nella conduzione dell’azienda familiare a Negrar (Località Cerè), non era enologo e ragionava in base alla sua esperienza e agli insegnamenti dei suoi maestri. A differenza della maggioranza dei veneti, non guardava l’aspetto commerciale, ma la giusta ricompensa gli è comunque arrivata dal vino stesso. L’adesione al mondo contadino è esplicito nelle etichette scritte a mano, nel modo artigianale e lento con cui è impostata tutta la produzione del vino con l’appassimento dei grappoli nella soffitta della propria casa, Bepi era brusco con i giornalisti e si faceva fotografare con gli abiti da lavoro. Proprio questa mancanza di ostentazione e la fermezza nelle sue convinzioni che gli ha fatto rifiutare le barriques anche quando erano di moda, il timbro della sua diversità ed è triste vedere quanti veneti hanno seguito l’esempio dei suoi vini ma non delle sue scelte di vita.
LODOVICO ANTINORI E ORNELLAIA
Nel 2016 il Wine Spectator mise in copertina Lodovico Antinori con la sua nuova cantina di Biserno e intitolò l’articolo di commento ““Fall and rise in Tuscany” che tradotto con un detto popolare italiano potrebbe essere dalle stelle alle stalle. In effetti, la storia di Lodovico Antinori è fatta di estremi opposti e di grandi sfide, senza mezze misure. Nasce in una famiglia di fenomeni, il padre Niccolò e il fratello Piero sono dotati di un talento imprenditoriale impressionante e lui ha la stoffa dell’esploratore, cioè di quelli che tracciano una nuova rotta, come Amerigo Vespucci o Cristoforo Colombo.
Dopo un periodo di lavoro in USA, Lodovico torna in Italia e, nel 1981, fonda Ornellaia. Nel 1987 crea Masseto e nel 2001 il suo Ornellaia è in cima alla classifica TOP 100 di Wine Spectator.
Un successo folgorante nato dall’audacia di sfidare gli château francesi sul loro stesso terreno cioè usando Cabernet Sauvignon e Merlot. Un successo che ha un prezzo in termini personali ed economici con viaggi, eventi, investimenti di marketing e comunicazione. Nel 2002 Lodovico vende Ornellaia ai Mondavi che coinvolgono nell’affare i Frescobaldi. Quando Lodovico scopre che la sua creatura sta andando nelle mani della famiglia storica rivale degli Antinori va dal fratello Piero e si scusa, ma l’errore, ormai è fatto.
Impara la lezione e coinvolge Piero nelle sue successive iniziative: Campo al Sasso e Tenuta di Biserno.
Quest’ultima nasce con gli stessi principi e le stesse ambizioni di Ornellaia. Grande dimensione -99 ettari vitati- vitigni dell’uvaggio bordolese, il più celebre enologo francese, Michel Rolland e prezzi molto alti. E’ più difficile portare al successo Biserno rispetto a quando era partito negli anni ’80 ma Lodovico ci riesce ancora.
LIVIO E MARCO FELLUGA LA RINASCITA DEL FRIULI
Livio è morto nel 2016 dopo aver compiuto 102 anni. Non l’ho conosciuto mentre ho conosciuto suo fratello Marco morto il 4 marzo scorso e sono amica delle loro figlie Elda e Patrizia che hanno guidato la diffusione del turismo del vino in Friuli Venezia Giulia.
I due fratelli Felluga hanno inciso in modo forte sulla storia del vino della loro regione benché abbiano operato separatamente.
Livio era il primogenito in una famiglia di vignaioli da 4 generazioni a Isola d’Istria. Si era trasferito nel Collio, giovanissimo con il padre Giovanni e il fratello Marco di tredici anni più giovane.
Scoppia la seconda guerra mondiale, Livio deve andare a combattere, ma viene preso prigioniero e mandato in Scozia. Quando torna nella sua terra, in Friuli trova un grande abbandono con i suoi coetanei che lasciano la campagna per andare a lavorare in città.
Livio e Marco invece restano e iniziano a comprare terra e piantare i vigneti. Nel 1956 separano le aziende e si impiantano, Livio nei Colli Orientali del Friuli, e Marco nel Collio.
Livio Felluga è instancabile e allarga i suoi vigneti fino agli 187 ettari attuali. La fiducia nella sua terra è simboleggiata dalla carta geografica nell’etichetta delle bottiglie: una cartina gialla, di stile antico, che sembra la mappa del tesoro. Nel 2009 l’Università di Udine gli conferisce la laurea honoris causa e lui quasi si stupisce << Ma cosa ho fatto di grande?>>. Sono l’operosità e la modestia a contraddistinguere tutta la sua personalità, virtù per le quali Gino Veronelli lo chiamava “il contadino”.
Parallelamente a lui Marco Felluga sviluppa la produzione di vino che porta il suo nome e, nel 1967, acquisisce Russiz Superiore, antica proprietà sulle colline di Capriva del Friuli.
Instancabile e estroverso è il primo a credere davvero nel marketing e, quando diventa presidente del Consorzio Collio, per due mandati, dal 1999 al 2005, convince Oliviero Toscani, più conosciuto fotografo e comunicatore italiano, a creare una campagna pubblicitaria. Sulle pagine dei quotidiani appare una modella nera nuda con una bottiglia di vino del Collio in mano e la scritta “E’ l’unico bianco che amo”. Le istituzioni pubbliche prendono le distanze ma il progetto rimane nella storia della comunicazione per la sua forza trasgressiva. Un episodio che la dice lunga sulla personalità innovativa e intraprendente di Marco Felluga.
AMPELIO BUCCI E I BIANCHI INVECCHIATI
Il mio primo vero incontro con Ampelio Bucci risale a una quindicina d’anni fa quando Ian D’Agata ci invitò entrambi a un evento al Regina Isabella di Ischia. Mi colpirono il suo stile da gentiluomo d’altri tempi che sa manifestare stima senza adulazione. I suoi vini complessi e minerali, freschi e lunghi mi colpirono coma la sua semplicità <<io i vini li faccio così>>. Ho sentito la sua storia direttamente dalla sua bocca e quindi ve la racconto di prima mano. << A 15 anni mi sono trovato a dirigere un’azienda agricola perché mio padre, uomo dell’Ottocento, ha fatto quattro figli dopo i 50 anni … ecco che io ho 350 ettari agricoli da gestire e vi assicuro che è una fatica enorme>>. Ampelio Bucci è simpatico, franco, ironico. Laurea alla Bocconi, esperienza in multinazionali estere e nel settore moda italiano dove impara l’importanza dell’immagine. Negli anni ’60 inizia a dedicarsi seriamente al vino ma ha molti dubbi sul Verdicchio a causa di chi produce troppa uva e imbottiglia cose mediocri. Ma si accorge che l’epoca mezzadrile ha lasciato un’eredità da cui partire <<la capacità di coltivare i campi come giardini, per il piacere di fare le cose bene e questo fa la differenza>>. E’ il primo a puntare sull’innalzamento qualitativo del Verdicchio. <<A me questo vino non piaceva …. mentre mi piacevano i vini della Borgogna. Quelli italiani mi parevano banali mentre la complessità e la raffinatezza dei francesi mi entusiasmava. Per questo ho seguito il modello francese>>. Sceglie 6 piccoli appezzamenti con terreni di calcare e argilla, recupera le vecchissime botti per la micro-ossigenazione che danno al vino, si affianca Giorgio Grai negli assaggi … e alla fine produce vini monumentali e capaci di sfidare il tempo ma <<nei vini bianchi, la capacità di invecchiamento comincia solo ora ad essere un elemento di immagine>> mentre Ampelio ha iniziato a lavorarci nel 1970.
GIULIO FERRARI E I LUNELLI
Giulio Ferrari è il primo a capire il potenziale del Trentino nella produzione di spumante. Nel 1902 introduce il metodo classico nella sua regione ed un pioniere anche nell’introduzione dello Chardonnay in Italia. E’ intelligente anche nella scelta del suo erede. Non ha figli e lascia la sua cantina nelle mani di Bruno Lunelli, titolare di un’enoteca a Trento. E’ l’inizio di una dinastia di straordinario talento. I figli Franco, Gino e Mauro Lunelli fanno crescere l’azienda nella dimensione produttiva e nella qualità delle bottiglie. E’ a questo punto che entro in contatto con i Lunelli che sostengono la crescita del turismo del vino in Italia e soprattutto in Trentino. Ricordo di aver usato scatole intere di diapositive della loro cantina nei primi anni eroici in cui cercavo di convincere i giornali di scrivere di enoturismo.
Ora la Ferrari Trento è guidata dalla terza generazione: Marcello, Matteo, Camilla e Alessandro. Quelli che conosco meglio è Marcello, l’enologo a cui è affidata la cantina Ferrari. Ha letteralmente sbancato il maggior concorso mondiale sulle bollicine. Su 10 edizioni di The Champagne & Sparkling Wine World Championship, la più importante competizione internazionale dedicata alle bollicine, ben 6 hanno visto primeggiare la Cantina Ferrari di Trento che anche nel 2023 ha vinto il titolo di “Sparkling Wine Producer of the Year”. La cosa bella è che i Lunelli si sono trascinati dietro lo squadrone italiano che, con 74 medaglie d’oro e 117 medaglie d’argento, ha superato la Francia.
Concreto e gentile Marcello è in realtà un fenomeno nel creare bottiglie capolavoro. Sua cugina Camilla è una persona altrettanto bella, prima di dirigere la comunicazione dell’azienda di famiglia ha lavorato a lungo nelle missioni umanitarie in Africa ed ora si impegna anche nella crescita del ruolo delle donne del vino. Matteo è un altro fenomeno ed ha portato le bottiglie Ferrari agli Emmi Award e sul podio della Formula 1. Azioni di marketing così clamorose da spingere le sue e tutte le bollicine italiane nei mercati internazionali.