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Quante tasse ci sono nel tuo bicchiere di vino

Il vino è tassato il doppio della birra ma i vini più cari e pregiati sono quelli con aliquote più basse. Dunque per pagare meno tasse bisogna bere bene

tax-wine-2014 I numeri del vino

tax-wine-2014 I numeri del vino

Di Donatella Cinelli Colombini

Il vino base con il 64,5% ha un’aliquota addirittura più alta dei superalcolici al 57%.  Sembra un argomento da addetti ai lavori ma in realtà non lo è, infatti queste tasse le pagano i consumatori. Se cumuliamo l’intero carico fiscale, in Italia, una bottiglia su due va nelle casse dello stato. E il nostro non è fra i Paesi che tartassano di più i winelover!
I numeri del vino, blog sempre informatissimo, che vi invito a leggere, affronta il tema delle tasse nel bicchiere e ci fa scoprire un mondo sorprendente. Lo studio è dell’ American Association of Wine Economists– AAWE – e rivela che i grandi Paesi produttori Francia, Italia e soprattutto Stati Uniti tassano poco il vino. Solo l’Australia si discosta da questa logica.

tasse

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Sorprendentemente i vini più colpiti sono quelli comuni mentre i premium e soprattutto i superpremium pagano “solo” il 26,7% di tasse. In sostanza i vini pregiati, nel mondo, sono le bevande alcoliche meno tassate di tutte. Se invece andiamo a vedere quali sono le nazioni che tartassano maggiormente il vino mettiamo in fila Irlanda 267%, Finlandia 220% e Gran Bretagna 218%. Un’enormità se consideriamo che la media mondiale è 64%. Il povero John residente a Dublino che amerebbe bere un bicchiere di vino a pasto finisce per diventare un grande contribuente dell’EIRE. Persino in questi Paesi i vini hanno una tassazione progressivamente più bassa via via che il vino sale di qualità e prezzo. Insomma per essere tassati di meno l’unico modo è bere meglio!
Vediamo adesso i Paesi virtuosi, quelli che mettono tasse leggere sul vino: USA 10% (con i superpremium come il Brunello Riserva scende fino al 3%), Germania 19%, Sud Africa, Austria e Slovacchia al 20%. L’Italia è solo leggermente più alta al 22%

Altro che “Marcellino pane e vino”: il vino e il cinema americano.

Dallo spunto di un interessante articolo di Raphael Schirmer dell’American Association of Wine Economists, una riflessione sull’influenza del cinema sul vino, e viceversa.

Letto per voi da Bonella Ciacci

cinema e vino

cinema e vino

Per noi italiani, e per molti europei in generale, essendo il vino una tradizione consolidata, non sorprende più di tanto vedere un personaggio di un film o di un telefilm sorseggiare vino. Ma negli Stati Uniti, patria incontrastata del grande cinema e delle produzioni più importanti, le cose sono notevolmente cambiate da 80 anni a questa parte. Dall’epoca del Proibizionismo a film come “Sideways” o “Un’ottima annata”, non si può non notare come la cultura del vino e l’approccio verso di esso sia proprio ribaltato. Ma è la vita reale ad influenzare il cinema o il cinema ad influenzare la vita quotidiana?

Come riporta l’articolo del Wine Economists, gli Stati Uniti oggi sono il primo

Grande-Gatsby-Francis-Scott-Fitzgeraldremake-01

Grande-Gatsby-Francis-Scott-Fitzgeraldremake-01

stato in termini di consumo del vino e il quarto in termini di produzione, ed è un aspetto che è impossibile non si rifletta anche sulle sue produzioni cinematografiche, che sono specchio della società che rappresentano. Infatti, film come Il Grande Gatsby, dove si mostrava l’alta società americana, con le sue contraddizioni e le sue trasgressioni, con calici di champagne durante le feste mondane, rappresentava come in negli anni ‘20 (quelli del proibizionismo, tra l’altro) bere vino fosse segno di potere, di successo e di appartenenza ad una classe elitaria esclusiva, che quindi non si perdeva con whisky di contrabbando.

Sei un pecorone o un indipendente quando giudichi il vino?

Da uno studio dell’American Association of Wine Economists intitolato “In vino veritas” risulta che siamo pecore

gregge-di-pecore

gregge-di-pecore

Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini

La questione non è da poco nell’epoca della democratizzazione dei giudizi sul vino. Infatti una parte dei consumatori crede che il web e soprattutto portali come Cellar Tracker, dove tutti possono scrivere il loro giudizio, abbiano apportato una rivoluzione togliendo autorevolezza ai grandi esperti e dando più voce al consumatore finale. Insomma portando una ventata di obiettività e di rinnovamento.

Forse non è proprio così anzi un interessantissimo articolo di “Wine economics” del maggio 2014 intitolato “In vino veritas? Social influence on ‘private’ wine evaluations at a wine social networking site” (Omer Gokcekus School of Diplomacy and International Relations, Seton Hall University, USA, Miles Hewstone Department of Experimental Psychology, University of Oxford, UK, Huseyin Cakal Department of Psychology, University of Exeter, UK) ci mostra come i giudizi di CellarTracker siano estremamente conformisti.  In altre parole le valutazioni dipendono ancora, in larga misura, dai grandi wine critics, ma soprattutto dai primi giudizi pubblicati, per cui, paradossalmente, le probabilità che siano “manovrati” è cresciuta.