Anteprime di Toscana 2023 col botto: Assessore Stefania Saccardi illustra i dati record del business enoico 2022 e Roberta Garibaldi i successi enoturistici
Toscana: 11 DOCG, 41 DOC, 6 IGT e 58 indicazioni geografiche, in pratica il 95 % del vigneto regionale ha un carattere territoriale. 2,1 milioni di hl e 1,2 miliardi di Euro la Toscana rappresenta rispettivamente l’8% del volume e l’11% del valore nazionale di vini DOP.
Il 2022 è stato quindi un anno magico per i vini toscani di cui l’Assessore all’Agricoltura e Vicepresidente della Toscana Stefania Saccardiva giustamente fiera, come del dato sul vigneto BIO che è ormai il 40% del totale regionale e cresce costantemente.
L’export di vino toscano tocca i 690 milioni di Euro, + 7% sul 2021 nonostante un calo dei volumi del 3%. I principali partners sono USA e Canada che da soli assorbono il 38% del valore. Sorprendente crescita del 31% delle esportazioni in Francia.
Turismo in cantina 2023: sempre più tecnologica nei contatti e sempre più territorialità nelle esperienze che iniziano a segmentarsi per prezzo e target
Arrivano le proposte di turismo in cantina 2023 frutto di uno scenario enoturistico in velocissima evoluzione.
NOVITA’ DEL TURISMO DEL VINO 2023 CAMBIANO I TURISTI E LE ESPERIENZE
Niente è come prima del covid, neanche i turisti. Nelle cantine italiane arrivano almeno 4 tipi di visitatori: i turisti del vino classici, cioè i veri appassionati del nettare di Bacco, il gruppo maggioritario, che cerca svago in una natura incontaminata, gli altospendenti, soprattutto esteri, che chiedono momenti esclusivi e infine i talebani del “dei vini senza mani”, ultra-famosi o con altre caratteristiche estreme.
Altro elemento nuovo è il sorpasso delle esperienze sul vino: la cantina che riesce a promuovere bene una proposta enoturistica davvero eccezionale vince sul prestigio del vino, anzi lo potenzia in modo enorme. Per questo il numero, la dimensione e la spettacolarizzazione delle nuove cantine turistiche cresce tantissimo con effetti hollywoodiani e spesso lontani dalla cultura del luogo.
Tuttavia, vince ancora il piccolo, vero e diverso per cui, anche se sembra un paradosso, le cantine “vecchio stile” hanno più appeal che in passato.
Tutto era iniziato all’inizio di maggio, con la richiesta di una visita guidata con degustazione alle mie due cantine del Casato Prime Donne a Montalcino e della Fattoria del Colle nella Doc Orcia. Si trattava di ricevere gli studenti dell’Università dell’Oregon come avevo fatto prima del Covid ma questa volta i giovani sarebbero stati divisi in gruppi e ciascuno di essi doveva creare un progetto di marketing su uno specifico vino.
VISITA DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITA’ DELL’OREGON ALLE CANTINE
Finalmente il 30 giugno gli studenti arrivano. Sono educati e attenti e non guardano continuamente il telefonino come fanno i nostri.
Le vigne di Sangiovese hanno sopportato stoicamente il caldo e la sete, alleviata dalle piogge di luglio. E’ prevista una vendemmia anticipata e scarsa
Il termometro è stato inventato da Galileo Galilei nel 1607 e poco per volta, l’uomo ha misurato e registrato le temperature. Dei dati certi esistono dall’inizio dell’Ottocento e mai c’era stato un anno più caldo del 2022. Quello che stiamo vivendo ha battuto tutti i records. Anche se confrontato con gli ultimi caldissimi, trent’anni il 2022 mostra un grado in più e la metà delle piogge rispetto alla media.
Il 6 agosto è stata la punta, l’Italia è un altoforno: la temperatura massima di Firenze è 37°C quella de Il Cairo 33°C. In realtà le centraline dei vigneti del Casato Prime Donne a Montalcino e della Fattoria del Colle nella Doc Orcia segnano 38°C.
Le vigne stanno sorprendentemente bene, specialmente alla Fattoria del Colle dove, negli ultimi due mesi sono caduti 70 mm di pioggia mentre a Montalcino le precipitazioni sono iniziate a luglio per un totale di 45mm. Detto così sembra un valore quasi normale ma è la siccità dei mesi precedenti che non è normale e ha fatto abbassare il Po fino a renderlo traversabile a piedi, dall’Emilia Romagna alla Lombardia, come fosse un torrente.
E’ un gioco ma fino a un certo punto: la vite, la vigna, l’uva, la barbatella sono sostantivi femminili ma il vino è maschio come gran parte delle denominazioni
Oggi il 55% dei consumatori abituali di vino italiani sono donne. Il gentil sesso è maggioritario fra chi prenota visite in cantina …. ma il vino ha un connotato maschile perché, per 8.000 anni è stato prodotto e bevuto da uomini. Daniele Cernilli- Doctor Wine con l’ironia colta che lo contraddistingue parte da qui per un ragionamento semiserio ma molto intrigante <<La grammatica a volte fa brutti scherzi. Siamo abituati a pensare al vino come a qualcosa al maschile, “il” Barolo, “il” Brunello, “il” Taurasi, ma esistono vitigni e vini declinati al femminile e chissà che questo non coincida con le loro caratteristiche…>>
VITIGNI FEMMINA E VINI MASCHI UN INTRICO DI GENERE CHE FORSE SVELA QUALCOSA
L’esame “di genere” delle denominazioni, per me, parte dalla Doc Orciadecisamente femmina perché <<il vino più bello del mondo>> nasce su colline dai profili sinuosi. Si tratta dei panorami più sexy e più simili a un corpo di donna che la Toscana e forse l’Italia possiede.
Roberta Garibaldi Professore all’Università di Bergamo, e massimo esperto italiano di enogastronomia è anche, dall’ottobre scorso, alla guida di ENIT Agenzia Nazionale del Turismo. Questo fa sperare in un cambio di strategia nella promozione della destinazione Italia con un maggior peso dell’attrattore agroalimentare. Il restyling del sito Italia.itcon più immagini, più esperienzialità, più destinazioni enogastronomiche è un primo passo molto importante in questa direzione.
Il Rapporto sul Turismo enogastronomico italiano redatto da Roberta Garibaldi, è uno strumento prezioso di osservazione e fornisce ogni anno le novità e le evoluzioni dell’offerta. Leggerlo è utile per enti e imprese che vogliono usare l’enogastronomia anche per produrre reddito turistico <<puntando su sostenibilità, innovazione ed esperienzialità>>.
Ecco i 10 trend del Rapporto sul Turismo enogastronomico italiano 2022. Si tratta solo di qualche appunto ma vi suggerisco di andare a leggerlo tutto sul sito di Roberta Garibaldi
Curare gli abbinamenti e generare profitti, i 2 must dei nuovi Sommelier alle prese con la ristorazione italiana in crisi e guardando ad un podio mondiale
Negli ultimi 20 anni, i Sommelier, hanno avuto una crescita esponenziale. In Italia, il titolo è aperto anche a non professionisti e questo ha chiuso loro le porte dei concorsi mondiali ma ha diffuso la cultura del vino nel nostro Paese. Avvocati, medici, ingegneri espongono con orgoglio il loro certificato AIS, FISAR, FIS, ONAV … accanto al diploma di laurea.
I corsi si sono diffusi in ogni parte d’Italia e moltissimi ristoranti, enoteche, cantine hanno almeno un sommelier nel loro organico. Eppure nel periodo Covid i Sommelier sono stati fra i professionisti più colpiti. Il lockdown e successivamente le aperture a singhiozzo, causate dalle ondate infettive, hanno fatto strage degli addetti al vino nonostante le bottiglie costituiscano dal 30 al 50% delle entrate dei ristoranti.
I sommelier sono apparsi come “costi da tagliare” invece che <<un elemento che gestisce un prodotto che può generare profitto>> come scrive Paolo Basso, uno dei più celebri sommelier del mondo, oltre che docente al Glion Institute of Higher Education. Grave errore <<gli chef spesso non si rendono conto che un piatto può essere annientato semplicemente perché è abbinato al vino sbagliato>>.
Donatella Cinelli Colombini, di nuovo innovatrice, propone esperienze col vino “su misura” per soddisfare i diversi tipi di turisti del vino post covid
I TURISTI DEL VINO NON SONO TUTTI UGUALI E NON HANNO TUTTI GLI STESSI DESIDERI
Donatella Cinelli Colombini che, ha inventato la giornata Cantine Aperte e insegna wine hospitality nei master, sa anche che i turisti del vino sono un piccolo esercito composto da persone con profili e attese diverse: ci sono quelli solo incuriositi, i veri appassionati e i Brunello lovers, ci sono gli incontentabili desiderosi di esclusività straordinarie, ma c’è anche ci vuole trascorrere il suo tempo libero imparando in modo giocoso. I turisti del vino sono cambiati rispetto al 2019, quando nessuno conosceva il Covid, e soprattutto desiderano cose diverse. Oggi, chi arriva nei territori del vino, è un cacciatore di emozioni che vuole immergersi in una campagna senza pesticidi, coltivata da chi è appassionato, tradizionalista ma anche disposto a condividere.
<< A questa moltitudine diversificata la stragrande maggioranza delle cantine italiane propone un solo tipo di esperienza: visita fra tini e botti con spiegazione dei processi produttivi e degustazione>> dice Donatella <<Questo è sbagliato>>.
DALLA TEORIA ALLA PRATICA: 4 ESPERIENZE PER I TURISTI DEL BRUNELLO
Ecco che la Cinelli Colombini passa dalla teoria alla pratica e invece di limitarsi a scrivere manuali sull’accoglienza enoturistica, ha deciso di dare l’esempio progettando 8 esperienze per i visitatori nelle sue cantine del Casato Prime Donne nel Brunello e della Fattoria del Colle nel Chianti e nella Doc Orcia. Molte delle degustazioni sono accompagnate da piccoli assaggi di “cacio” pecorino, olio extravergine di fattoria e pane toscano sciapo, cioè senza sale.
4 proposte per chi arriva a Montalcino spinto da curiosità diverse: alcuni sanno poco o niente di vino e conoscono il Brunello quasi solo per sentito dire. In questo caso c’è un’esperienza più semplice e a prezzo più basso. Poi ci sono due proposte per i wine lovers sempre alla ricerca di nuove emozioni e nuove conoscenze sul Brunello: la prima più incentrata sull’assaggio -dalla botte fino alle grandi annate- la seconda più inconsueta è stata studiata dal Sommelier musicista Igor Vazzaz, un assaggio itinerante associato alla musica. Infine c’è qualcosa di davvero unico a cui Donatella ha deciso di partecipare personalmente. Prevede l’assaggio del suo Brunello più esclusivo in edizione limitata, accompagnato da formaggi vincitori di premi internazionali.
Leone Rosso 2019 Doc Orcia 5 stelle con Sangiovese e Merlot in una piccola ed esclusiva produzione nata nei vigneti, vinificata e maturata alla Fattoria del Colle
Il vino Leone Rosso Doc Orcia è dedicato agli antenati di Donatella Cinelli Colombini che costruirono la Fattoria del Collenel 1592 e avevano un leone rampante nel loro stemma. Le uve per il Leone Rosso Doc Orcia nascono proprio nei vigneti della fattoria.
UN LEONE ROSSO SIMBOLO DEGLI ANTENATI CHE FONDARONO LA FATTORIA NEL 1592
Si tratta della famiglia Socini o Sozzini composta da giuristi e filosofi. Due di loro – Lelio (1525-1562) e Fausto (1539-1604)- sono passati alla storia per aver ricoperto un ruolo di rilievo fra i liberi pensatori europei che dettero vita al protestantesimo.
Fu proprio la loro opposizione alla Chiesa che portò la famiglia alla rovina e la Fattoria del Colle ad essere confiscata. La proprietà fu riacquistata dal bisnonno di Donatella, l’Ingegner Livio Socini intorno al 1919 che la comprò, quasi per caso, da un fallimento. Quando la visitò egli si accorse che nella cappella e nella villa del Colle c’erano i suoi stemmi identici e capì che il destino aveva rimesso nelle sue mani, dopo 400 anni, la fattoria fondata dal suo antenato Claudio Socini.
Vendemmia-2019-Fattoria-del-Colle-Toscana
Un filo misterioso con il passato che anche Donatella Cinelli Colombini ha sentito quando suo padre Fausto le donò la Fattoria del Colle nel 1998.
LEONE ROSSO DOC ORCIA 2019
Quella del 2019 è una vendemmia memorabile. Classificata 5 stelle per la perfetta qualità dell’uva: grappoli piccoli, acini piccoli, maturi e sani. Una impressionante quantità di sostanze nobili che, dalle bucce dell’uva, sono andate nel mosto colorandolo in poche ore e che poi sono state estratte attraverso una macerazione più lunga del solito.
DOC ORCIA IL VINO PIU’ BELLO DEL MONDO
La denominazione Orcia è nata il 14 febbraio 2000 nelle colline che si trovano in mezzo ai territori del Brunello e del Vino Nobile. Un’area bellissima della Toscana meridionale, per gran parte iscritta, dal 2004, nel patrimonio dell’Umanità dell’Unesco proprio per il paesaggio agricolo preservato nei secoli.
Per questo la Doc Orcia viene definita “vino più bello del mondo”.
Così come la vicinanza due grandissime DOCG – Nobile e Brunello – ha spinto i produttori Orcia a crescere qualitativamente molto in fretta e crearsi un’identità distintiva nei confronti dei milioni di turisti ed escursionisti, soprattutto esteri, che arrivano in zona attratti dalla bellezza dei luoghi e la bontà dei vini.
I bicchieri da vino sicuramente sbagliati sono incisi, colorati o senza stelo. Quelli giusti sono calici in cristallo ma sulla loro forma le opinioni divergono
Ci sono degli elementi certi: il bicchiere da vino non deve essere colorato o avere dei disegni sulla coppa. Trovo sbagliata l’abitudine a incidere stemmi, loghi o scritte celebrative su quella parte del bicchiere sia perché impedisce il corretto apprezzamento del vino, sia perché rende imbarazzante l’uso in tavola di quei calici da parte dei clienti che li hanno ricevuti in dono.
I BICCHIERI DA VINO SICURAMENTE SBAGLIATI
Quindi sconsiglio, agli organizzatori di eventi o alle cantine, di puntare su questo genere di oggetti per scopi promozionali a meno che non ci sia una strategia precisa. Per esempio il consorzio Doc Orcia ha finanziato dei bicchieri da vino distribuendoli nei ristoranti e nei wine bar del suo territorio di produzione.
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Su ogni calice c’è la scritta <<sei nel territorio dell’Orcia, il vino più bello del mondo, bevilo>>. Un esplicito invito a completare la propria esperienza turistica con l’assaggio dei rossi nati nello stesso luogo.
Altro elemento sicuramente sbagliato è l’incisione. I bicchieri di cristallo finemente intagliati sono belli da vedere ma intralciano l’apprezzamento del vino. Purtroppo le cristalliere sono piene di preziosi bicchieri del genere. Anch’io ho ancora quelli che mi furono regalati per il matrimonio e che non ho mai usato. Nessuno li mette in tavola e quindi non si rompono e ingombreranno in eterno gli armadi di casa. C’è da sperare che vengano inventate creme, cocktail o altri sistemi adatti per loro.
I CARATTERI FONDAMENTALI DEL BICCHIERE DA VINO
Il cristallo da vino deve essere un calice bianco trasparente, liscio, sottile e abbastanza elastico. I cristalli di 40 anni fa erano talmente rigidi da diventare rasoi quando si rompevano durante l’asciugatura, cosa che succedeva spesso. Anche mio marito ha i segni di un bicchiere e dei punti per ricucire il taglio sulla mano sinistra. A quel tempo il numero dei bicchieri che si rompevano, nello stelo oppure sui bordi della coppa, era altissimo. Solo più recentemente le cristallerie hanno inventato degli impasti capaci di combinare elasticità e brillantezza dei materiali. Inoltre la forma delle coppe si è modificata. Era tondeggiante oppure somigliava al bicchiere da Cognac con i bordi superiori in fuori. Oggi la stragrande maggioranza dei calici ha la silhouette di un grande boccio di tulipano con i lati dritti o leggermente curvi che fanno scivolare dolcemente il vino in bocca invitando a bere a piccoli sorsi.
Era una terra di miseria e oggi è il simbolo mondiale del bel paesaggio. Lorenzo Benocci e Cristiano Pellegrini spiegano come e perché questa metamorfosi
Mi ricordo che, una decina d’anni fa, durante un viaggio all’estero vidi in TV lo spot pubblicitario di uno scaldabagno. C’era uno scienziato in una base polare che rientrava intirizzito da una missione. Accedeva l’acqua calda, andava sotto la doccia chiudeva gli occhi e nella sua mente la sensazione di benessere diventava l’immagine dei cipressini della Valdorcia.
Pensai <<che fortuna vivere proprio lì vicino>>. Ma a volte sembra di stare dentro una cartolina, un qualcosa di troppo sovraesposto e persino mercificato.
QUANDO IL PAESAGGIO DELLA VALDORCIA DIVENTA UNO SPOT DI BELLEZZA
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I cipressini di San Quirico, la Cappella di Vitaleta, la strada di Monticchiello …. vengono usati in spot pubblicitari, copertine e persino azioni improprie come la promozione dell’Umbria o peggio delle Highlands scozzesi e disastrosamente sulla home page del sito della Monsanto multinazionale della chimica.
Nella metamorfosi del paesaggio valdorciano, in un’icona di bellezza paesaggistica universalmente riconosciuta, hanno avuto un ruolo i film e i social. La parola Val d’Orcia ha 200.000 citazioni al giorno online.
Una sovraesposizione che ha fatto cessare la condizione di povertà e abbandono che aveva determinato il detto “Orcia miseria”.
LORENZO BENOCCI E CRISTIANO PELLEGRINI VALORE VAL D’ORCIA
Questo paesaggio ha dunque, un valore economico e non solo come calamita turistica.
<<Perché un prodotto agricolo fatto in un territorio bello è già di per sé anche buono e desiderato?>>.
Proprio per capire come la bellezza paesaggistica della Valdorcia sia diventata un valore economico e sociale Lorenzo Benocci e Cristiano Pellegrini hanno raccolto in un saggio, l’opinione di esperti e imprenditori costruendo una sorta di ipotesi progettuale sugli interventi necessari per conservarla.
Dura pochi giorni ma è il periodo in cui la campagna toscana è più bella e fa capire quanto sia amata da chi ci vive e ci lavora. Il Sangiovese, vitigno principe, del Brunello, del Chianti e di moltissime denominazioni toscane, cambia colore dopo la vendemmia e le sue foglie verdi diventano gialle oro prima di cadere. Il risultato è spettacolare specialmente al tramonto quando la luce radente esalta la brillantezza dei colori. E specialmente in territori, come quello del Brunello e della Doc Orcia, che l’Unesco ha iscritto nel patrimonio dell’umanità nel 2004 per la magica armonia del paesaggio agricolo costellato da piccole città d’arte: Pienza, Montalcino, San Quirico, Buonconvento ….
FOLIAGE NEI VIGNETI CON COLORI DIVERSI A SECONDA DEI VITIGNI
Il foliage, cioè lo spettacolo delle foglie che cambiano colore, costituisce un’attrazione turistica in Nord America dove vengono organizzati tour autunnali nei boschi di alberi ad alto fusto. Da noi in Italia non è ancora molto conosciuto anche perché la macchia mediterranea non offre grandi suggestioni, cosa che invece avviene nei vigneti e mi spinge a invitarvi a camminare in mezzo alla campagna del vino nel suo momento più bello. Attenzione, però …. il foliage dura pochi giorni. Sbrigatevi!
Le suggestioni visive si associano alla possibilità di assaggiare l’olio nuovo e i tartufi bianchi. Piaceri semplici come la ricerca dei funghi nei boschi e il primo assaggio del vino nuovo con le castagne arrosto.
Questo è il bello del turismo autunnale che, quest’anno, per i problemi del covid deve svilupparsi a pochi chilometri da casa, possibilmente in luoghi in cui camminare da soli, all’aria aperta immersi nella natura. Un limite che forse può rivelarsi un’opportunità per godere nel silenzio uno spettacolo naturale con colori meravigliosi.
Un successo confermato dal sorriso dei partecipanti ai due week end della vendemmia che, in realtà, hanno preceduto la vera raccolta dell’uva di Brunello per cui i partecipanti non hanno potuto impugnare le forbici ma solo assaggiare l’uva e i mostri di IGT bianco, Merlot e Sangiovese per il Chianti.
WEEKEND DELLA VENDEMMIA 2021 ALLA FATTORIA DEL COLLE
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Provenivano da tutta Italia e anche dall’estero con un bel gruppo di sei maltesi e persino una signora colombiana esperta in comunicazione di alcolici. C’erano 8 amici che celebravano un addio al celibato in stile Sideways e quattro medici pugliesi che hanno fatto un break fra la vita lavorativa a l’inizio della pensione.
Due giorni intensi con la visita delle cantine Casato Prime Donne a Montalcino e Fattoria del Collenella Doc Orcia. Tante degustazioni e soprattutto quella del piccolo enologo dove i wine lover hanno creato il proprio supertuscan facendo un blend di 3 vini dello stesso anno prodotti con uve diverse.
LE MASTERCLASS SUL SANGIOVESE
Il clou dell’esperienza sono state le masterclass sul Sangiovese tenute da Leonardo Taddeie David Pieroni. Due approcci diversi ma egualmente entusiasmanti: più tecnico quello del Delegato AIS di Lucca e più discorsivo quello del collaboratore della Guida Slow Wine.
Entrambi hanno insistito sulla “territorialità” del Sangiovese che varia da zona a zona. Una caratteristica che dipende dai suoi 108 cloni (è il vitigno con più “sottospecie”) ma anche alla diversità dei suoli che si sono formati nel corso di 5 milioni di anni durante il lento sollevamento della Toscana dal mare. Ecco che abbiamo nette diversità fra i vini a base di Sangiovese in purezza provenienti dalle zone più alte del Chianti Classico rispetto a quello prodotto da vigneti più bassi, come ha sottolineato Pieroni, così come i quattro versanti di Montalcino tendono a <<esprimersi in un modo diverso>> come ha ribadito Taddei.
E’ sempre difficile superare l’assicella dei 90 centesimi sulla stampa internazionale quando il vino è di una denominazione emergente. Ma ancora più difficile è ottenere che il vino sia degustato spesso e mantenga, anno dopo anno dei punteggi molto alti.
IL PALMARES DEL CENERENTOLA DOC ORCIA
Cenerentola Doc Orcia ci è riuscita.
Dalla vendemmia 2010 a oggi ha ottenuto punteggi stellari da Wine Spectator: annata 2010 91/100, annata 2013 90/100, annata 2016 93/100, annata 2017 92/100.
Cenerentola-Doc-Orcia-92/100-Wine-Spectator
A questo si aggiungono ratings molto positivi di Robert Parker-Wine Advocate, James Suckling, Wine Enthusiast per un totale di 10 giudizi sopra i 90 punti nelle ultime 5 annate prodotte.
Un palmares strepitoso per un vino di una denominazione nata nel 2000 e ancora molto piccola di dimensione, come la Doc Orcia su cui attrarre l’attenzione dei critici è difficilissimo. E’ un risultato strepitoso soprattutto perché l’uvaggio è nuovo di zecca e unisce al Sangiovese un vitigno autoctono minore – il Foglia Tonda- resuscitato da un oblio durato un secolo. Il blend è diverso rispetto alle due uve assaggiate in purezza: facendo un paragone con la moda, l’elegante e verticale l’uva principe della Toscana fa pensare a un abito di Armani, mentre il Foglia Tonda, potente e esuberante, richiama Cavalli o Dolce e Gabbana.
Sembra la storia di Zorro ma è una master sommelier donna che ha più di 183.000 follower Instagram e non fa vedere il suo volto. Un wineinfluencer senza protagonismo
Wineteller, la wine influencer senza volto che racconta il vino
Master Sommelier AIS e Alma, scrive dalla Sardegna ed il suo motto è <<Behind every bottle of wine there’s a story to tell>>, dietro ogni bottiglia c’è una storia da raccontare. In effetti nel simposio “WineFuture 2021” hanno detto che ormai la narrazione è ormai importante quanto la qualità del vino.
WINETELLER E I SUOI RACCONTI DI VINI
Quello che sappiamo di questa wine influencer misteriosa finisce qui: niente nome (ma io l’ho scoperto, si chiama Anais Cancino), niente faccia, la narrazione e l’attenzione si concentra sul vino e non su di lei, all’opposto di come invece avviene nella stragrande maggioranza dei casi. Dal poco che si vede è una persona giovane, snella, impeccabile nell’abbigliamento e truccata con cura, almeno dal naso in giù.
Le immagini di Facebook dimostrano che predilige i luoghi belli, eleganti non lo stile “rural” tradizionalmente disordinato. A tavola è decisamente tradizionalista, gli piacciono cibi italiani con la pasta in pole position e uno stile disinvolto in cui anche la carne alla griglia ha un posto privilegiato.
Sia su Facebook che su Instagram, Wineteller pubblica le stesse foto e gli stessi testi in inglese con il ritmo di cinque alla settimana. Solo foto non ci sono video. Ci vuole un enorme lavoro per tenere un simile ritmo, con quella qualità di immagini e testi.
Wineteller, la wine influencer senza volto che racconta il vino
COME FAR SCOPRIRE LE CATINE PARTENDO DA CIO’ CHE RENDE UNICA OGNUNA DI ESSE
Vediamo i contenuti: i vini decisamente sono i soli protagonisti. Tra loro, qualche super noto e molte scoperte, ecco che fra Ornellaia, Sassicaia, Krug, IsoleOlena troviamo Olivi un produttore di Doc Orcia che produce nella Cantina Le Buche di Sarteano piccole serie di splendide bottiglie.
Le descrizioni sono incantevoli e, usando parole semplici e dirette, delineano in modo profondo persone e luoghi. Wineteller non cerca di essere esaustiva ma di presentare quello che rende unica e straordinaria ogni etichetta e ogni cantina.
Quando racconta di Mora&Memo, la cantina creata da Elisabetta Pala nell’angolo sud-orientale della Sardegna, fa scoprire subito l’eccezionalità delle situazione. <<L’azienda è stata fondata da Elisabetta Pala, che alla tenera età di 24 anni, ha deciso di seguire le orme del padre e del nonno nella vinificazione, ma facendolo a modo suo. Chiunque al suo posto avrebbe preferito lavorare nella storica tenuta di famiglia, ma lei ha preferito realizzare il suo sogno e fondare la propria azienda con una filosofia e un concetto diversi, ma allo stesso tempo con un forte legame con le tradizioni di famiglia. Il risultato è una bellissima tenuta di 40 ettari situata in una dolce collina che si affaccia sul mare del golfo di Cagliari, è circondata dalla macchia mediterranea e dai Sette Fratelli, le montagne più alte del sud dell’isola. I vitigni hanno la stessa età di Elisabetta e le varietà principali sono Vermentino e Sauvignon Blanc per i vini bianchi, Cannonau e Monica per i vini rossi e anche per il neonato rosato. Elisabetta, oltre ad essere una wine maker, guida anche l’associazione delle donne del vino@donnedelvinosardegna>>. A questo posso solo aggiungere che la giovane Pala ha rivoluzionato il profilo del Cannonau, rendendolo un vino nel nuovo millennio. L’ho assaggiato due volte, a Malta durante una missione commerciale e a Vinitaly in occasione di un winetasting guidato da Ian D’Agata, entrambi organizzati dalle Donne del Vino. Vi assicuro che lascia a bocca aperta, non solo per la qualità ma soprattutto per lo stile fresco, armonioso e non più opulento e quasi sovrabbondante come eravamo abituati. Insomma Mora&Memo ha fatto il restyling del Cannonau – più vigna e meno cantina – al pari di come è avvenuto nel Brunello e nel Barolo.
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