I non luoghi del vino
Perché trasformare cantine, punti vendita e sale da degustazione in “non luoghi” bellissimi ma simili e fatti dagli stessi architetti e designer ci danneggia
Di Donatella Cinelli Colombini
Tutto inizia con una lezione all’Università di Firenze in cui parlo degli interior design che stanno arredando gli shop e le tasting room delle cantine trasformandoli in “non luoghi del vino”. Poco dopo ricevo dalla Professoressa Luciana Lazzeretti, che aveva ospitato la mia lezione, un suo articolo intitolato “Città d’arte e musei come Luoghi di significati”.
Inizio a leggerlo con un certo scetticismo.
LA CULTURA CHE CREA BENESSERE DIFFUSO E SOSTENIBILE
<<Quali sono i rischi della valorizzazione economica per musei e città d’arte?>>
Mi dico: iniziamo male!
Io sono convinta che la cultura dovrebbe creare sviluppo e ricchezza diffusa mentre adesso, in Italia, ha sempre i bilanci in rosso.
Continuo a leggere e comincio a pensare che questi concetti possano servire anche a noi del vino. La <<cultura può essere davvero un volano per uno sviluppo economico sostenibile che abbia per obiettivo, non tanto la crescita quanto il benessere?>>
Certo che si!
L’analisi non riguarda gli aspetti economici bensì quelli antropologici e sociali, perché il <<crescente primato dell’economia sulla società>> tende a creare sviluppo ma non benessere per la maggior parte delle persone. Si tratta di un dato di fatto incontrovertibile infatti 2000 persone detengono da sole metà della ricchezza del mondo, mentre c’è ancora chi muore di fame.
Di questo sviluppo che non crea benessere fanno parte i non luoghi.