Mal dell’esca: le viti dal dentista per guarire
Simonit e Sirch i preparatori d’uva che hanno rivoluzionato la potatura delle viti trovano il rimedio per il mal dell’esca facendo come i dentisti con le carie

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Di Donatella Cinelli Colombini, Fattoria del Colle, Chianti superiore
La complessità e la profondità del vino cresce con l’età del vigneto; è un dato di fatto unanimemente accettato, tutti lo sanno. Per questo preservare nel tempo le vigne è indispensabile per chi punta, come me, sui vini di grande qualità. Per questo è determinate contrastare la decimazione causata dal mal dell’esca, il maggior problema sanitario del vigneto europeo. Fin ora l’unica soluzione era la sostituzione delle fallanze cioè delle piante morte, con nuove viti perché le cure efficaci contro il mal dell’esca erano così

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dannose all’ambiente da venire proibite in quasi tutti i Paesi. La complantazione (sostituzione delle viti secche) è un’operazione da fare quasi ogni anno usando una piccola ruspa per asportare le piante morte con le loro radici e impiantare barbatelloni cioè viti allevate in vaso. I risultati sono spesso modesti perché la nuova pianta deve competere con quelle adulte ai suoi lati e spesso rimane stenta per anni finendo per pregiudicare l’omogeneità del vigneto. Il problema è dunque serio perché il numero di viti che muoiono per il mal dell’esca è alto, anzi è sempre più alto. La moria inizia al quinto anno di vita del vigneto e aumenta con il tempo. In pratica le viti arrivano già malate dal vivaio e poi, inconsapevolmente, i vignaioli propagano il problema, per contagio, attraverso le forbici usate nelle potature.