
Lettera di Cernilli a Petrini ed è grande polemica
Bastano 30 righe di Cernilli a Petrini e scoppia una tempesta, tutta l’Italia del vino ne parla. Anche se, nella lettera, c’era più nostalgia che critica

Daniele Cernilli e Donatella Cinelli Colombini
Di Donatella Cinelli Colombini
Daniele Cernilli scrive a Carlo Petrini <<cos’è ora la guida SlowFood ?>>. Ma se Carlo Petrini scrivesse a lui chiedendo <<cos’è ora la guida dei Vini d’Italia del Gambero Rosso>> potrebbe rispondere? Questo è il punto, perché i due grandi patriarchi delle guide enologiche italiane hanno lasciate orfane le loro creature Gambero Rosso e Slow Food – Slowine. Entrambi hanno preso strade diverse e per questo suona strana la domanda di Cernilli <<io temo, Slow Food, di non capirlo più>>. Potrebbe infatti fargli la stessa domanda Carlin e concludere con la stessa frase <<Però volevo dirtelo, anche se non mi aspetto risposte>> .

Carlin Petrini
Tanto tempo è passato dal periodo eroico in cui lottavano fianco a fianco <<contro il vino che odora di merda di pollo>> come tuonava Carlin Petrini a Vignale Monferrano nel 1995 o giù di li, contro <<chi considera tipicità quella puzza>>. Ricordo benissimo quel giovane idealista che trascinava con i suoi discorsi carichi di passione e convinzione. In quel momento il suo messaggio era qualcosa di nuovo, di coraggioso, esprimeva la voglia di sprovincializzarsi e andare per le vie del mondo con la speranza di farcela.
Ricordo anche Daniele Cernilli, con la giacca, il gilè e la cravatta. Filosofico e professorale. Era riflessivo e sottile nel ragionamento quanto l’altro era irruento. Paradossalmente sembrava più piemontese Cernilli, che invece era romano. Eppure sono stati le due metà di uno stesso progetto, quello di dare alle cantine italiane il coraggio di puntare verso la qualità.
E’ la nostalgia di quello spirito pionieristico che traspare dalla lettera di Cernilli a Petrini <<quando andavamo da Elio Altare o dal povero Domenico Clerico, quando restavamo a bocca aperta a vedere le innovazioni che apportavano al modo di coltivare la vigna e di vinificare, ricordi? Quando in quel modo si affrancavano, loro, piccoli vignaioli, dal ricatto dei mediatori di uve. E ricordo l’entusiasmo con il quale appoggiammo, io, tu, Gigi Piumatti, quel movimento, quello dei Barolo Boys>>.
Un’epoca che non esiste più. Non esiste più per Slow Food ma non esiste più neanche per tutte le altre guide dei vini italiane assediate da decine di miglia di bottiglie da assaggiare a ritmi forzati e soprattutto da consulenti, agenzie di PR, enologi, produttori che cercano di ottenere bicchieri, grappoli, stelle … Ci sono persino alcuni “influencer” che evidenziano, nel proprio sito, la lista di cantine loro clienti, premiate dalle Guide italiane come se il giudizio dipendesse dai loro contatti e non dal nettare di Bacco che sta nella bottiglia. Un assedio che rende difficile la scoperta di nuovi territori e nuovi percorsi di ricerca da parte dei produttori meno grandi e meno noti.
Poi c’è l’integralismo di antiscientifico, antitecnologico, del tipo “basta la natura”, oppure “è buono solo il vino del contadino”. L’ integralismo contro cui sembra concentrasi la critica di Daniele Cernilli nella sua lettera sulla guida Slow Food <<iniziative ideologiche e confuse, trovo le parole d’ordine contraddittorie, trovo che molti alzino il ditino e facciano la morale agli altri e poi si comportano in modo non dissimile da coloro che criticano. Trovo che ci sia un atteggiamento antiscientifico diffuso, con una voglia di ritorno al passato poco pensato e poco discusso>>.
Per concludere, tentando di dare una prospettiva positiva alle parole di Cernilli, va ricordato che la Guida Slow Food ha un’alleanza con la FISAR a cui fornisce ogni anno 15.000 copie che vanno nelle enoteche e nei ristoranti dove i sommelier lavorano. Questa guida è quindi molto influente nel network delle 1500 Condotte SlowFood ma anche nell’ambito del commercio del vino e, per questo, forse è chiamata a interrogarsi anche su altri argomenti che fanno parte della mission Slowfood, come di quella FISAR. Ad esempio occupandosi di più degli abbinamenti fra la cucina tradizionale e i vini del territorio, promuovendo maggiormente l’esperienza del vino in tavola attraverso cui i turisti diventano i lo strumento per salvare i vitigni autoctoni e le denominazioni minori … C’è ancora tanto da fare e forse c’è bisogno di aprire nuovi orizzonti ascoltando di più e giudicando di meno, cercando di tutelare le identità locali e non solo la natura, ritrovando il piacere della scoperta …. e puntando sui giovani