
Sommeliera, enotecaria … al femminile è meglio
Il sessismo linguistico e la coniugazione dei nomi come riconoscimento del nuovo ruolo delle donne nella società e del lavoro

sommeliera
Di Donatella Cinelli Colombini, Brunello, Casato Prime Donne
Quando iniziarono a dire, Prefetta, Sindaca, Ministra … tutti storsero il naso perché questi nomi suonano davvero male coniugati al femminile ma una più attenta riflessione rivela che sono la prima affermazione della presenza femminile in certi ruoli cioè del fatto che un chirurgo può essere donna e non va considerata una “sostituta” di titolari maschi. Insomma dire ingegnere solo al maschile evidenzia che questa attività va svolta da un uomo cioè sancisce una discriminazione, la mancata coniugazione dei ruoli professionali è quasi un modo per dire che le donne non ne sono degne.
Il dibattito è caldo e Cecilia Robustelli, una delle più eminenti linguiste italiane, ha

magistrate donne
scritto un piccolo, ma interessantissimo manuale intitolato L’Italiano conoscere e usare una lingua formidabile distribuito con La Repubblica e l’Espresso.
Anche se l’argomento è vecchio di quarant’anni, perché adesso si parla così tanto di sessismo linguistico? E’ una questione internazionale e non solo italiana. Al parlamento francese il deputato Julien Aubet è stato multato di 1.000€ per essersi rivolto al presidente della seduta Sandrine Mazetier chiamandola <<madame le Président>> invece di la présidente al femminile.

Laura-Boldrini-presidentessa-della-Camera
Ma in Italia l’argomento ha preso forza quando, soprattutto in politica, il sessismo è cresciuto. La rappresentazione delle donne al fine di evidenziare, anche inconsapevolmente, la loro inadeguatezza passa attraverso la descrizione di abiti, acconciature e aspetto fisico al posto di contenuti più professionali. Quando si parla di personaggi in ruoli importanti come ministre, direttrici generali e simili frasi del genere sono frequentissime.
Non è la lingua italiana ad essere sessista, bensì la nostra tradizione, quella di chiamare per nome le donne e indicare con il titolo professionale gli uomini, oppure di usare il cognome preceduto dall’articolo a differenza di come viene fatto per gli uomini ( esempio <<lo sdegno della Thatcher>> e <<il discorso di Cameron>>) .
Il Parlamento italiano traccia la via con un forte impegno contro la discriminazione sessista nel linguaggio per opera della Presidente della Camera Laura Boldrini << a tutela della dignità della persona, in conformità a quanto previsto dagli articoli 2 e 3 della Costituzione>>.

Cecilia-Robustelli-linguista
Anche i giornalisti hanno introdotto il linguaggio di genere nei loro corsi di aggiornamento professionale.
I problemini ci sono: in certi casi i nomi delle professioni, prima usati solo al maschile, hanno una coniugazione dubbia: sindaca o sindachessa? Questora o questrice? C’è inoltre la questione del “maschile neutro” cioè l’uso di verbi al maschile per soggetti uomini e donne ( frasi come <<fratelli e sorelle sono arrivati stamattina>>) è stato oggetto di contestazioni e ironia. Così la richiesta di evitare l’uso di signora e signorina al posto del titolo professionale come dottoressa o avvocata.
Insomma la questione è aperta e le polemiche infuriano. Molti infatti considerano il linguaggio sessista un problema più di apparenza che di sostanza e quindi non meritevole di una battaglia all’interno delle iniziative per la parità di genere. C’è infatti chi esorta le donne a << impegnarsi in cose più meritevoli della loro energia>> nella realtà dei fatti, tuttavia dare un nome è il primo atto di identità. Un tempo non c’erano donne presidentesse, magistrate (in Italia le magistrate sono il 51% del totale dei giudici), chiurghe, ministre ( la prima è stata Tina Andelmi nel 1976) … oggi ci sono e occorre dare loro il titolo giusto anche nel mondo del vino. W le sommeliere, le enotecarie, le enologhe ….