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Ma sono davvero arancioni gli Orange Wine!

C’è chi pensa al succo d’arancia e chi a vini naturali ottenuti con tecniche estreme … ma no! Sono i vini bianchi vinificati a contatto con le bucce dell’uva in anfora

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Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini

Per la verità, in Spagna esistono vini dolci aromatizzati con buccia d’arancia il Vino Naranja e il Moscatel Naranja prodotto a Malaga … ma sono tutt’altra cosa rispetto agli Orange wines.
In effetti il nome moltiplica la confusione soprattutto perché è in inglese mentre tutto proviene da un’antica tradizione europea. I vini Orange sono simili a quelli dei nostri progenitori dell’antica Roma che vinificavano grappoli bianchi e rossi dopo averli fatti macerare cioè dopo aver tenuto il mosto a contatto con le bucce. Un’abitudine che esisteva,

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forse persino in un’epoca antecedente, in Armenia e in Georgia, da li è arrivata in Italia intorno al 1990, insieme alle grandi anfore georgiane usate per la loro vinificazione. Il nome Orange Wines, invece, è stato coniato nel 2008 negli States riferendosi al colore di questi bianchi.

Anche la convinzione che si tratti di vini naturali – tipo superbiologici – è del tutto errata. Gli orange wines possono essere prodotti da uve coltivate in modo biodinamico ma anche convenzionale, pesticidi compresi.
Mike Bennie in un delizioso articolo su Wine Searcher, che vi invito a leggere, gioca sugli equivoci legati agli orange wines e si sofferma sulla crescente popolarità dei vini Orange fra i giornalisti specializzati, nota lo scetticismo di molti sommelier e, in certi casi, l’aspetto del vino decisamente poco attraente. Insomma c’è chi esalta questa tecnica per l’arricchimento che porta ai vini bianchi, in termini di complessità e struttura, ma chi proprio la rifiuta. 

Anfore si anfore no, questo è il dilemma

Anfora: come e perché il più antico contenitore da vino è tornato di moda. Dall’Arcipelago Muratori la prima analisi sui vasi da vino di terracotta

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Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini

L’incontro è avvenuto nella Tenuta Rubbia al Colle di Suvereto, nella costa Toscana ed ha avuto nel Professor Attilio Scienzadell’Università di Milano il vero mattatore, con un entusiasmo travolgente.

Ritorno all'argilla Suvereto

Ritorno all'argilla Suvereto

E’ lui lo “Sherlock Holmes dell’uva” che da anni indaga sulle origini preistoriche della vite e ora segue le tracce dei suoi più antichi contenitori. Tornare alle anfore di terracotta è dunque per lui un atto culturale prima che enologico, il recupero di saperi e sapori originari << un modo per combattere la banalizzazione del vino come bevanda con un gusto stereotipato e standardizzato, occorre forse tornare a sentori più antichi>> dice il grande Attilio. In effetti, in Georgia dove si ritiene sia la culla della vitis vinifera, madre di tutte le viti, il vino viene conservato nelle anfore (kvevri in Kakheti e in Kartli ochuri in Imereti e in Racha), da 4.000 anni.
Dunque il bisogno di diversità che sembra animare in modo crescente chi lavora con l’uva, non è la ragione principale dell’uso dei contenitori in argilla ma c’è qualcosa in più, quasi la nostalgia di una semplicità antica di un ritorno a cose maturali, senza tecnologia e a un contatto manuale con l’uva che diventa vino. La spinta viene quindi da fattori più sociologici che enologici.