
Anfore si anfore no, questo è il dilemma
Anfora: come e perché il più antico contenitore da vino è tornato di moda. Dall’Arcipelago Muratori la prima analisi sui vasi da vino di terracotta
Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini
L’incontro è avvenuto nella Tenuta Rubbia al Colle di Suvereto, nella costa Toscana ed ha avuto nel Professor Attilio Scienzadell’Università di Milano il vero mattatore, con un entusiasmo travolgente.
E’ lui lo “Sherlock Holmes dell’uva” che da anni indaga sulle origini preistoriche della vite e ora segue le tracce dei suoi più antichi contenitori. Tornare alle anfore di terracotta è dunque per lui un atto culturale prima che enologico, il recupero di saperi e sapori originari << un modo per combattere la banalizzazione del vino come bevanda con un gusto stereotipato e standardizzato, occorre forse tornare a sentori più antichi>> dice il grande Attilio. In effetti, in Georgia dove si ritiene sia la culla della vitis vinifera, madre di tutte le viti, il vino viene conservato nelle anfore (kvevri in Kakheti e in Kartli ochuri in Imereti e in Racha), da 4.000 anni.
Dunque il bisogno di diversità che sembra animare in modo crescente chi lavora con l’uva, non è la ragione principale dell’uso dei contenitori in argilla ma c’è qualcosa in più, quasi la nostalgia di una semplicità antica di un ritorno a cose maturali, senza tecnologia e a un contatto manuale con l’uva che diventa vino. La spinta viene quindi da fattori più sociologici che enologici.
Un sentire che accomuna esperti, giornalisti e produttori presenti al convegno di Suvereto, perché traspare dalle parole del Professor Attilio Scienza, dell’enologo Francesco Iacono della Tenuta Rubbia al Colle di Suvereto, come nella passione del siciliano Giusto Occhipinti di COS e nella convinzione di Luciano Ferraro del Corriere della Sera e Alessandro Torcoli di Civiltà del Bere. Persino un raffinatissimo assaggiatore come Luca Gardini – Sommelier Campione del mondo 2010 – ha sentito la ricchezza di questa proposta.
<<Lavorare con la natura affina la capacità di sentire, rende partecipi lo spirito e le abitudini del contadino, porta alla comprensione profonda dei processi vitali. Alla dimensione più concreta del fare si affianca una dimensione diversa che si allontana dall’aspetto materialistico e si arricchisce di una dimensione più spirituale>> scrive Elisabetta Foradorinel suo sito.
Ma il dialogo con la natura e le antiche tradizioni legate al vino non sono la sola suggestione, c’è anche un’intera cantina piena di barili di terracotta che sembrano l’esercito di terracotta del vino. Sono i “barricoccio” della tenuta Rubbia al Colle dell’Arcipelago Muratori dove matura il vino che fa rivivere lo “stile etrusco”.