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MADE IN ITALY CREA RICCHEZZA ALL’ESTERO?

SAPPIAMO TRASFORMARE IL MARCHIO MADE IN ITALY IN RICHHEZZA ITALIANA? OPPURE LA NOSTRA CAPACITA’ DI CREARE ECCELLENZA QUALITATIVA DIVENTA RICCHEZZA ALL’ESTERO?

 

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made in Italy vino e moda la sfida della valorizzazione del brand

di Donatella Cinelli Colombini

Made in Italy è il terzo marchio più conosciuto al mondo. Il punto è: il talento italiano, la genuinità, la tradizione che stanno alla base di questo marchio, creano sviluppo nel nostro Paese oppure generano una ricchezza all’estero? Non mi riferisco all’italian sounding cioè al prodotto contraffatto – come il parmisan fatto in USA col tricolore sulla confezione – che è già di per se uno sfruttamento del marchio e una concorrenza sleale che danneggia le nostre imprese e riduce profitti e salari.
Mi riferisco ai segmenti in cui il brand è la maggior parte del valore cioè la moda e il vino. Dove va la ricchezza che genera: nelle buste paga dei dipendenti o nei dividendi delle multinazionali?

 

IL MADE IN ITALY NELLA MODA CREA RICCHEZZA ALL’ESTERO

La riflessione parte da un articolo di Panbianco intitolato “Il made in Italy vince sulla filiera” che spiega come il segmento commerciale del lusso stia andando a gonfie vele. Dopo il rimbalzo post covid, in cui chi poteva spendere ha dato sfogo alla sua voglia di mondanità e glamour, facendo lo shopping che precede i momenti sociali, anche il 2022 sta andando bene e conferma la tendenza anti ciclica del segmento di gamma più alto.

Il mito del vino continuerà a costruirsi al ristorante?

Il lockdown e le misure sanitarie hanno dato uno scossone all’uso dei ristoranti come palcoscenico dei grandi vini facendo forse nascere un’alternativa

 

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Giovanni-Geddes-Ferdinando-Frescobaldi-il-mito-dei-vini-e-i-ristoranti

Di Donatella Cinelli Colombini

Due indagini a confronto: Panbianco e Wine Intelligence per capire l’effetto del Covid sui vini di alta fascia e come forse esiste una strategia di marketing alternativa per valorizzare le bottiglie di pregio.

 

PANBIANCO E LE GRANDI CANTINE ITALIANE: BENE CHI VENDE VINI ACCESSIBILI

Panbianco ha analizzato i fatturati delle grandi cantine italiane arrivando alla conclusione che <<Nel 2020 i produttori di vini accessibili hanno fatto meglio della categoria premium>>. In pratica spostando i consumi dentro le mura domestiche le bottiglie care ma non carissime hanno avuto il sopravvento. <<Il risultato è che i primi dieci gruppi di fascia media sono cresciuti del 3% mentre le top 5 di fascia alta mostrano una flessione a doppia cifra pari al 12%>>. Nello stesso Magazine, qualche pagina dopo, Giovanni Geddes da Filicaja AD del Gruppo Frescobaldi dichiara una perdita del 10% ma ammette che a giugno 2020 la situazione era grave e poi il mercato è ripartito per cui alla fine dell’anno << posso dire che ci siamo più che difesi>> ha detto un un’evidente soddisfazione.

 

IL VINO PREMIUM DANNEGGIATO DALLA CHIUSURA DEI RISTORANTI ITALIANI

Portogallo-il-mito-del-vino-si-costruisce-al-ristorante-o-no

Portogallo-il-mito-del-vino-si-costruisce-al-ristorante-o-no

Insomma le grandi cantine di vini premium hanno faticato ma hanno tenuto testa alla crisi. Certamente meglio delle piccole eccellenti che vendevano tutto nei ristoranti italiani. Infatti Geddes ha commentato la performance 2020 con la frase <<ci ha aiutato il fatto di essere molto internazionalizzati>>. Forse avere un brand forte e essere presenti in GDO ha aiutato e arriviamo dunque al secondo articolo che ci interessa.

Wine Intelligence ripreso da Wine News ci propone un’indagine che sembra sovvertire l’opinione secondo cui il mito e le vendite dei grandi vini sono strettamente legati alla ristorazione. C’è una possibile alternativa.