MADE IN ITALY CREA RICCHEZZA ALL’ESTERO?
SAPPIAMO TRASFORMARE IL MARCHIO MADE IN ITALY IN RICHHEZZA ITALIANA? OPPURE LA NOSTRA CAPACITA’ DI CREARE ECCELLENZA QUALITATIVA DIVENTA RICCHEZZA ALL’ESTERO?
di Donatella Cinelli Colombini
Made in Italy è il terzo marchio più conosciuto al mondo. Il punto è: il talento italiano, la genuinità, la tradizione che stanno alla base di questo marchio, creano sviluppo nel nostro Paese oppure generano una ricchezza all’estero? Non mi riferisco all’italian sounding cioè al prodotto contraffatto – come il parmisan fatto in USA col tricolore sulla confezione – che è già di per se uno sfruttamento del marchio e una concorrenza sleale che danneggia le nostre imprese e riduce profitti e salari.
Mi riferisco ai segmenti in cui il brand è la maggior parte del valore cioè la moda e il vino. Dove va la ricchezza che genera: nelle buste paga dei dipendenti o nei dividendi delle multinazionali?
IL MADE IN ITALY NELLA MODA CREA RICCHEZZA ALL’ESTERO
La riflessione parte da un articolo di Panbianco intitolato “Il made in Italy vince sulla filiera” che spiega come il segmento commerciale del lusso stia andando a gonfie vele. Dopo il rimbalzo post covid, in cui chi poteva spendere ha dato sfogo alla sua voglia di mondanità e glamour, facendo lo shopping che precede i momenti sociali, anche il 2022 sta andando bene e conferma la tendenza anti ciclica del segmento di gamma più alto.