Le vespe sono i custodi della tipicità dei vini
Fra gli elementi che determinano la specificità di un’area viticola entrano anche vespe sociali e calabroni nella cui pancia vivono e si accoppiano i lieviti
Di Donatella Cinelli Colombini, Brunello, Casato Prime Donne
C’è una notizia buona e una cattiva.
La notizia buona è che un gruppo di studiosi dell’Università di Firenze e della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, coordinati da Duccio Cavalieri, ha scoperto come nascono i lieviti indigeni cioè quelli specifici di un determinato territorio, quella cattiva è che l’uso diffuso di lieviti industriali potrebbe inquinare l’ambiente determinando nuovi ibridi cioè metterebbe a rischio la tipicità dei vini. Infatti la biodiversità è qualcosa di vivo, i lieviti sono un patrimonio microbiologico originario e assolutamente unico di ogni zona ma anche molto fragile perchè soggetto ai cambiamenti.
Per capire la dimensione del problema basta ricordare il crescente valore attribuito all’identità. Nella civiltà attuale parole come naturalezza, diversità e autenticità sono sempre più requisiti indispensabili per le produzioni di alto livello: vino, formaggi, ortaggi, pane …. Ma non basta; c’è poi il rischio della sparizione di alcuni caratteri dei vini di pregio, come la mineralità, che i recenti studi collegano direttamente al patrimonio biologico della vigna e della cantina ma soprattutto ai lieviti indigeni. Lieviti che vivono e si riproducono nella pancia di vespe sociali e calabroni e, in presenza di ceppi diversi, danno origine a nuovi ibridi.
Dobbiamo quindi allargare anche a loro il nuovo concetto di terroir comprendendo suolo, clima, vitigni, lavoro dell’uomo e patrimonio biologico vespe comprese. Non è uno scherzo, le amiche alate fanno qualcosa di più dell’impollinazione.Facciamo un passo indietro. Qualche anno fa Linda Bisson dell’Università di UC Davis pubblicò sul ’ “American Journal of Enology and Viticulture” un articolo
intitolato “Origine geografica e diversità dei ceppi di lieviti vinari” in cui spiegava che il 95% dei Saccharomyces usati per la produzione del vino in tutto il mondo fanno parte di una sola tipologia a sua volta divisa i 5 sottogruppi. Il principale è il “centroeuropeo” poi ci sono lo “Champagne” e il “UCD 522” presenti, questi ultimi, in zone lontanissime del mondo come se l’uomo li avesse portati con se nelle sue prime migrazioni in epoca neolitica. Infine ci sono i “Saccharomyces paradoxus” – localizzati geograficamente ma poco interessanti sotto il profilo enologico.
Anche se i lieviti da vino sono molto simili, tuttavia esistono circa 400 ceppi leggermente differenti che vivono nell’intestino di vespe e calabroni e sono specifici di determinate zone. Questa fu, nel 2012 la prima scoperta pubblicata dal gruppo di ricercatori coordinati dal Professor Duccio Cavalieri. Ma ora arriva un’altra scoperta
ancora più sensazionale: dentro la pancia di vespe e calabroni i lieviti si accoppiano e si riproducono facendo nascere nuovi ceppi ibridi. In pratica <<sono stati inoculati dentro gli insetti 5 differenti ceppi di S.cerevisiae e comparato, dopo i due mesi invernali di ibernazione delle vespe, il comportamento di tali lieviti>> ha detto Cavalieri al blog Cronache di gusto, << dopo l’ibernazione, l’intestino delle vespe contiene più ibridi di ceppi parentali che genitori>> in pratica la pancia delle amiche alate è una sorta di posto molto sexy dove avviene la nascita di nuovi lieviti perché è un ambiente chiuso che favorisce << la generazione di gameti e l’incrocio fra gameti di individui (ceppi) della stessa specie e di specie diverse>>.
Da quanto si capisce dunque è dalle vespe e dai calabroni che nascono i ceppi indigeni di Montalcino, Barolo, Montefalco …. Se vogliamo salvaguardare questa biodiversità bisogna dunque preservare sia gli insetti, messi a rischio dall’uso dei pesticidi in agricoltura, che la possibile nascita di ibridi fra i ceppi di lieviti locali e lieviti industriali usati nelle cantine.
A Montalcino, la selezione dei lieviti indigeni iniziata nel 1988 da Enobiotech al Casato Prime Donne, è giunta a compimento quest’anno; i due ceppi indigeni di migliore qualità sono stati utilizzati con successo in 5 cantine. Avere i veri lieviti locali è una grande opportunità per il territorio del Brunello e per la salvaguardia dei suoi caratteri specifici. Ora non resta che usarla al meglio.