Ansonica storia di una contraffazione
Attilio Scienza racconta del vino greco di Chio contraffatto in Toscana 2.500 anni fa e ora riprodotto tenendo l’uva Ansonica in mare e il vino in anfora
Di Donatella Cinelli Colombini
La storia è bellissima ed è un autentico giallo, io ho avuto la fortuna di ascoltarla da un affabulatore scienziato senza eguali, il Professor Attilio Scienza. Tutto inizia circa nel VII secolo avanti Cristo nell’isola greca di Chio dove producevano un vino destinato all’esportazione in anfora. A quell’epoca tutto il vino da spedire era dolce alcolico ma quello di Chio riuscì a sbaragliare la concorrenza con un sistema di produzione segretissimo e capace di salvaguardare gli aromi ma soprattutto con la prima vera azione di marketing della storia.
Prima di mettere ad appassire i grappoli la popolazione di Chio li immergeva nel mare dentro delle ceste. Questo procedimento privava la superficie dell’uva della pruina consentendo un successivo più veloce appassimento. Il vino alla fine risultava più aromatico e questo era molto apprezzato nei banchetti più ricchi. Plinio racconta che Cesare offrì vino di Chio nel banchetto che celebrava il suo terzo consolato.
VINO DI CHIO PRIMO ESEMPIO DI MARKETING NELLA STORIA DEL VINO: LE ANFORE DI PRASSITELE
Ma il colpo di genio è l’azione di marketing escogitata dai greci. I produttori di Chio chiedono al più grande artista vivente, l’ateniese Prassitele (prima metà del IV secolo a C. ), di disegnare le anfore per il loro vino. Inventano anche un logo, una piccola sfinge stampigliata nelle anfore e simile a quella delle loro monete. Prassitele è conosciutissimo, anche i romani copiano le sue statue, è insomma una star fra chi ha soldi e potere. Mettere un vino in un’anfora disegnata da lui è un segno di distinzione e di importanza. Un vero colpo di genio anche perché la forma del contenitore è diversa e facilmente distinguibile per il collo corto e la forma angolata.
Ovviamente i produttori di Chio sbaragliano la concorrenza. La rotta principale di esportazione via mare va verso Marsiglia e poi risale l’Europa via terra e via fiumi. Gli archeologi hanno ricostruito le rotte commerciali del vino di Chio trovando un numero di anfore enorme e nettamente sproporzionato rispetto alla capacità produttiva della piccola e poco fertile isola greca. Per questo hanno cominciato a pensare che ci fossero in giro dei falsari, cioè del vino di Chio contraffatto. Venivano rinvenute anfore di colore più rossastro di quelle originali e analizzando l’argilla l’ipotesi della truffa veniva confermata. Le vere anfore di Chio hanno un impasto ricco di cadmio mentre le false no.
Comincia da qui la ricerca dei falsari.
NELLA COSTA TOSCANA NASCE IL VINO DI CHIO CONTRAFFATTO 2500 ANNI FA
All’epoca etrusca la costa toscana ha il monopolio dell’esportazione verso Marsiglia ma dal VII secolo in poi, con l’espansione del vino di Chio, subisce un grosso colpo e cerca il modo di rifarsi.
Le navi greche, dopo aver scaricato le anfore a Marsiglia si fermano all’isola d’Elba e a Piombini per caricare materiale ferroso da portare a Ischia. Forse grazie a questi i contatti i toscani riescono a scoprire il segretissimo metodo di produzione del vino di Chio. Importano i vitigni dalla grecia e costruiscono le formaci per riprodurre le anfore.
Una truffa talmente ben studiata che sembra incredibile 2500 anni fa e invece è avvenuta veramente. Per fortuna i nostri disinvolti progenitori sono stati smascherati con molti secoli di ritardo quando il reato non è più da scrivere nei registri del tribunale bensì nei libri di storia.
Gran parte della scoperta è merito del Professor Scienza e dell’Università di Milano dove i ricercatori del DIPROVE si accorsero della somiglianza fra il vitigno Inzolia-Ansonica e due dell’Egeo orientale Rhoditis e Sideritis. Tutti presentavano bucce resistenti e polca croccante molto adatte all’appassimento. Il taroccamento etrusco era fatto in modo molto sofisticato giungendo a creare i palmenti per la produzione del vino sull’Isola del Giglio in modo da riprodurre, con la maggior somiglianza possibile tutti gli elementi del vero vino di Chio.
ANTONIO ARRIGHI E IL VINO INSOLIA FATTO COME QUELLO DI CHIO
Questa storia che sembra un giallo, ha un lieto fine: il tentativo del produttore Antonio Arrighi dell’Elba di riprodurre il vino toscano -imitazione Chio- usando uva Ansonica immergendola in mare dentro nasse da crostacei per poi metterla in appassimento e quindi in anfore di terracotta. Il sale del mare ha funzionato da antiossidante e quindi non sono stati aggiunti solfiti.
La notizia del vino fatto come 2.500 anni fa ha avuto una risonanza mondiale, è stato oggetto di un cortometraggio che ha vinto due premi al concorso Oenovideo Marsiglia. Sicuramente avrà un grade successo commerciale. E’ giusto che siano premiati il coraggio di fare <<archeologia sperimentale>> come la chiama il Professor Attilio Scienza e di offrire ai consumatori un racconto meraviglioso e l’emozione unica di bere un pezzettino di storia.