Asor Rosa, gli ecomostri e San Giovanni d’Asso
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E’ utile costruire una grande struttura ricettiva in un paese di 900 abitanti che ha già 527 posti letto?
E’ utile compromettere l’integrità di un paesaggio “opera d’arte” con decine di villette e altri edifici alberghieri nella speranza di nuovi posti di lavoro?
Come utilizzare 60.000 mc di ex capannoni industriali?
Questi gli argomenti sul tavolo il 12 ottobre nel castello di San Giovanni d’Asso
Il luogo è suggestivo, siamo nel regno del tartufo bianco, nel castello Salimbeni con muri di mattoni rossi e bifore gotiche. La giornata è estiva con 30°C. Gli organizzatori sono il Comitato per la difesa della Val d’Asso
guidato da Giovanni Crescimanni e l’argomento del contendere è il costruendo albergo con spa, ristoranti e villette a Pavicchia, su una collina a 3 km dalla Fattoria del Colle.
Da un lato il giovane bravissimo Sindaco di San Giovanni Michele Boscagli e dall’altro Alberto Asor Rosa e i suoi ecomostri.
Il comune punta al risanamento della zona industriale di Pavicchia che fu distrutta da un incendio doloso nel 1999. Circa 60.000 mc che Boscagli è riuscito a tagliare fino a 17.000 più 8.000 mc interrati. Pochi, rispetto ai volumi iniziali, ma ancora sufficienti a calamitare un investitore intenzionato a realizzare una struttura ricettiva con 230 posti letto. Il Sindaco spera in 50-70 nuovi posti di lavoro e un effetto di trascinamento verso l’alto per tutta l’offerta turistica locale.
La sua buona fede e la logica di questa strategia è più che evidente.
Esiste tuttavia un rovescio della medaglia cioè un “prezzo” da pagare per l’ambiente e la comunità locale. Un prezzo che, secondo il comitato, è più alto dei vantaggi.
I danni a un paesaggio miracolosamente integro e senza nuove costruzioni che ambirebbe a entrare nel patrimonio dell’umanità dell’ Unesco.
La capacità di sopravvivenza delle strutture ricettive esistenti che già oggi risultano occupate solo 60 notti all’anno.
Pare dubbia l’assunzione di mano d’opera locale vista la mancanza di chef, maitre, addetti al marketing con sufficiente qualificazione professionale.
Così come desta dei dubbi l’investimento: la logica di fare una spa dove non c’è acqua termale, la scelta di un sito industriale ancora molto inquinato dagli effetti dell’incendio ma soprattutto il carattere poco lussuoso di villette e camere. Cose che sembrano più riconducibili a una speculazione immobiliare che a un progetto turistico d’eccellenza.
Ultimo ma non meno importante il consumo del territorio da parte di una popolazione turistica che, con la nuova struttura di Pavicchia, quasi supera quella residente.
Il turismo consuma i luoghi verso cui si dirige, cioè li omologa in modo irreversibile. Cambia lo stile di vita dei
residenti nelle loro abitudini storiche, cambia il paesaggio, cambiano i prezzi degli immobili e dei generi di consumo ma soprattutto trasforma il territorio agricolo a misura di contadino in destination a misura di turista.
Il numero massimo di turisti sopportabili da un territorio si chiama carico turistico massimo. Più il numero dei residenti è basso e la stagione turistica è lunga, più il carico turistico (somma di presenza turistiche in strutture e seconde case, più gli escursionisti) va limitato per non accelerare, in direzione della fine, il ciclo di vita della destinazione. I luoghi che non tengono conto di questi limiti sono destinati a massificarsi e a decadere più velocemente.
E’ questo il destino di San Giovanni d’Asso e delle zone limitrofe? Oppure ha ragione il Sindaco Boscagli e Pavicchia diventerà il locomotore dello sviluppo locale come è avvenuto a San Casciano dè Bagni?
A questo punto si impone una riflessione su quale dei due piatti della bilancia sia più pesante, cosa che, onestamente senza il nome dell’investitore, non è facile da capire.