IL TERROIR E LA DEGUSTAZIONE DEL VINO SONO UN MITO?
LA CONTESTAZIONE DEL CONCETTO DI TERROIR DA PARTE DI MAGGIE HARRISON E LE COMMISSIONI DI DEGUSTAZIONE ITALIANE CHE VANNO IN TILT CON I VINI NATURALI
di Donatella Cinelli Colombini #winedestination
Ricordo l’inizio della lezione di Denis Dubourdieu, all’Università di Bordeaux nel lontano 1999 <<ricordatevi che la qualità del vino è una linea retta con la perfezione al centro, più andate verso i lati e meno il vino è buono>>. Rimasi stupefatta, perché venendo da studi umanistici sapevo come un concetto del genere appartenesse a una cultura idealistica basata sul “bello ideale” che era stata sbaragliata, proprio in Francia, dagli Impressionisti un secolo e mezzo prima e dalle avanguardie musicali all’inizio del Novecento.
IL PASSAGGIO DALLA CULTURA IDEALISTICA AL POST MODERN NEL VINO
Oggi la ricerca della perfezione apollinea non interessa più ma è l’espressività, la capacità di trasmettere messaggi e suscitare emozione che conta. Questo vale per ogni espressione della civiltà umana: il cinema, l’architettura, la moda …. E il vino.
Il vino ha superato il periodo dell’omologazione e sta andando verso la rivalutazione dell’identità. Un percorso che contiene molti elementi da esaminare separatamente: il terroir, il rapporto con la natura, il ruolo dell’uomo. A questi si aggiunge il clima che cambia velocemente con temperature sempre più alte e piogge rare e violente.
Mi soffermo qui, su due articoli che mi aiutano a commentare l’evoluzione in atto: vengono da Wine Enthusiast e Gambero Rosso.
IL TERROIR E’ UN MITO?
Il primo si intitola “Is Terroir a Myth?” e contiene una lunga intervista di Alex Beggs a Maggie Harrison, la venerata enologa dell’Oregon che sta conducendo una “guerra al vino” o meglio la “guerra al terroir” che ha portato le sue opinioni sul New York Times Magazine. La Harrison ha un curioso metodo per produrre i suoi vini, basato sul blend di oltre 100 campioni assaggiati e mescolati alla cieca. Il risultato sono bottiglie straordinarie. Per comprarle ci sono liste di attesa infinite. La sua contestazione del terroir nasce dalla sua convinzione che la parola nasconda qualcosa che nessuno sa spiegare, un’alchimia misteriosa. Quindi il terroir non è una garanzia di eccellenza qualitativa ma dona il potenziale che l’uomo interpreta e talvolta rovina.
Un concetto che mi trova abbastanza d’accordo. Alla Fattoria del Colle, io ho un vigneto che era considerato uno dei migliori della zona, l’ho reimpiantato con la massima cura e utilizzando barbatelle del sangiovese più qualitativo … ma l’uva non è più la stessa. E’ buona ma non ha quel pizzico di magia che aveva nel vecchio vigneto. Al contrario, a Montalcino, il vigneto Ardita del casato Prime Donne produce uva di un’inspiegabile eccellenza. Ci sono 3 vigneti attaccati uno all’altro ma l’uva di Ardita è diversa. I suoi piccoli grappoli con acini grandi come centesimi e saporitissimi sono uguali tutti gli anni, qualunque sia il clima. Ovviamente i miei vignaioli sono bravissimi ma, Ardita sembra non aver bisogno di molte cure, fa tutto da sola. In entrambi i casi, il potenziale del terroir sembra sia eccellente ma solo a Montalcino si manifesta.
Quindi il terroir è un potenziale, non una garanzia di eccellenza, come dice la Harrison e cambia a causa del mutare del clima.
LE COMMISSIONI DI DEGUSTAZIONE SI ADATTANO AL CAMBIAMENTO DELLA CULTURA DEL VINO?
La seconda riflessione nasce da un articolo intitolato “Le commissioni vanno in tilt con i vini naturali. La storia della cantina Raìna che ha scelto di abbandonare la Doc” scritto da Sonia Ricci. Riguarda le difficoltà dei vini naturali con le commissioni di degustazione delle DOC-DOCG dove spesso viene classificato come “rivedibile” o “non idoneo”.
La testimonianza di Francesco Mariani, viticoltore della cantina Raìna, è molto esplicita «Per diversi anni ho avuto problemi per la certificazione dei vini. Riscontravano macerazioni scambiate per ossidazioni, profumi non perfettamente in linea con il disciplinare, problemi microbiologici inesistenti». L’articolo fa un chiaro riferimento alla trasmissione Report << è l’unica critica su cui fa centro la trasmissione diretta da Sigfrido Ranucci. Le commissioni di degustazione oggi sono fatte in modo tale da premiare un modo di fare il vino, che raramente è quello meno standardizzato e non interventista>>.
In effetti questo problema veniva sollevato anche da Lorenzo Corino nel suo libro “Vigne, vino, vita: i miei pensieri naturali” in cui auspicava un diverso metro di giudizio.
Alla luce di quello che è successo con l’arte, la musica, l’architettura, il design, il cinema, la moda …. E con ogni altra espressione della civiltà umana, direi che forse questa richiesta vada presa sul serio e anche i giudizi sul vino vadano rivisti.