
Quanto rendono le cantine?
Il vino è davvero un mondo dorato? Si per le 229 cantine con oltre i 50.000 hl di produzione no per le 66mila piccole e medie in chiara difficoltà
Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini
I colossi esteri quotati in borsa letteralmente volano: Costellation Brand ha un valore di 16 miliardi di Euro e si aspetta oltre 700 milioni di utili nel 2015. Tutti gli altri sembrano pigmei di fronte al colosso statunitense ma, escluso le cantine cinesi, hanno moltiplicato il loro valore di borsa: Concha y Toro e Distell, Trearury Wine Estate. Insomma anche il mercato azionario crede nel vino e ci investe volentieri …. se le imprese sono grandi. I numeri del vino, sito informatissimo e attendibile su ogni analisi eno-economica, scrive infatti << le due piccole che abbiamo nel
campione, Delegat’s e Baron de Ley sono il 40% meno care in termini di prezzo utili e valore di impresa su MOL e EBIT, mentre viaggiano sulla medesima valutazione in base alle vendite (2.4 volte). Ciò sta a significare che la loro “superiore profittabilità” non viene attualmente riconosciuta dal mercato.>> Ovviamente si tratta di “piccoli giganti” non di piccoli davvero piccoli come la stragrande maggioranza delle cantine italiane.
Da noi il comparto vino è composto da un mosaico di 383.000 viticoltori con poco più di un ettaro e mezzo ciascuno. Coriandoli che, per fortuna sono aggregati in larga misura all’interno delle cantine sociali. Una situazione che certo non ci avvantaggia quando affrontiamo la sfida globale come un esercito di pigmei rispetto, ad esempio al Cile, dove il grado di concentrazione nelle 4 più grandi cantine è dell’ 85%, Nuova Zelanda 80%, Australia 61%, 50% USA … Italia 7,6%.
La cosa più impressionate è che, in Italia, 61.500 cantine sulle 66.500 totali, hanno una produzione media inferiore a 500 hl per cui sommando la loro attività superano di poco i due milioni e mezzo di ettolitri mentre le 229 cantine più grandi producono da sole 50 milioni di ettolitri l’anno. Sono i grandi gruppi vinicoli che hanno dimostrato grande solidità anche nei confronti delle crisi come evidenzia il rapporto Mediobanca: hanno continuato a accrescere i loro fatturati con solo un rallentamento nel 2009.
Insomma le navi grandi reggono bene anche il mare grosso mentre sono le piccole a venir trascinate dalla corrente!
<<Le aziende di taglio più industriale, che lavorano soprattutto vino quotidiano …. alle prese con le migliaia di referenze che si combattono a suon di sconti sugli scaffali della grande distribuzione. E non se la passano meglio i vignaioli dell’ultima ora cui manca l’esperienza e la capacità di sopportare le ciclicità del mercato. Mentre le boutique del vino e le cantine di lungo corso ben strutturate, produttrici in molti casi di etichette griffate, combattono con risultati nel complesso positivi.>> Dice Anna Di Martino nel suo report sulle 88 maggiori imprese enologiche italiane.
Tra le piccole ci sono le “cantine life style” cioè le boutique di grandi vini in edifici storici che vanno esaminate anche dal punto di vista immobiliare sono infatti “la casa dei sogni” dei ricchi stranieri che vogliono comprare in Italia.Magari il loro conto economico è in rosso ma il loro valore patrimoniale ha tenuto nonostante la crisi.
Per tutte le altre e soprattutto per i vignaioli senza cantina la situazione è poco allegra. Crescono i debiti anche senza nuovi investimenti ed è sempre più difficile pagare i dipendenti. Infatti la burocrazia e i troppi adempimenti (registri, corsi, autorizzazioni, domande …) rendono più solide le piccolissime imprese condotte interamente dai proprietari che quelle medie dove ci sono dei salariati. Ed ecco che l’anello più debole e meno profittevole della filiera produttiva, il vigneto, si comprime sempre più: 200.000 ettari negli ultimi tre anni e 160.000 negli ultimi 13 anni dice Cronache di Gusto con un’analisi molto lucida <<Ma non tutte le regioni italiane hanno diminuito questa superficie. Sono, però, solo 5 i posti
italiani in cui c’è il segno positivo che fa registrare un aumento di terreni coltivati: le regioni Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia e le province di Trento e di Bolzano. Le altre, tutte in negativo. Perdite maggiori in Sicilia (-33 mila ettari); Puglia (- 24 mila ettari); Lazio (-21 mila ettari)>>.
Da questa panoramica escono due riflessioni: l’unica prospettiva per la viticultura italiana è puntare sulla capacità di fare rete, soprattutto nell’attività commerciale e indirizzarsi su DOC e innalzamento qualitativo.
Dall’altro lato, riprendendo un argomento caro a Carlin Petrini bisogna tornare ad amare la terra e credere nei suoi valori invece di guardare a ciò che produce reddito, perché solo con un’agricoltura forte – di vigneti, oliveti, cereali, pollai, orti … – e rispettosa dell’ambiente l’umanità potrà avere un futuro.