Tipicità del vino: croce o delizia?
Gli assaggiatori la esaltano ma in realtà non la mettono fra i parametri di valutazione, gli enologi temono la confusione fra difetti e tipicità
Di Donatella Cinelli Colombini, Brunello, Montalcino
L’argomento tipicità del vino è fra i più controversi. Mai come adesso si parla di terroir, di vitigni autoctoni …. ma in realtà questi elementi identitari spariscono nel momento del giudizio, anzi possono addirittura caratterizzare il vino allontanandolo dai parametri classici e quindi penalizzandolo nella somma dei giudizi.
Fabio Piccoli in un suo recente articolo si chiede << quanto conta oggi la “tipicità” nelle valutazioni della critica enologica? >> e dopo un attento esame, del passato e del presente, rileva un immutato <<disinteresse>>. Anzi dimostra che le critiche a Robert Parker e alla sua classifica di 100 punti come causa della standardizzazione
dei vini, siano abbastanza ingiustificate: fino agli anni ’70 veniva usata la scheda di Maynard A. Amerine dell’Università di UC Davis (anni ‘70) poi quella “stile” Wine Spectator ma in nessuna delle due il rating tiene conto della tipicità.
Ho proseguito sulla stessa falsariga cercando le schede di valutazione dei sommelier e assaggiatori AIS, FISAR e dell’Union Internationale des Oenologues (UIOE) in nessuna c’è la tipicità fra gli elementi di giudizio mentre questa voce compare nella scheda ONAV.Torna nella mia mente la prima lezione di Denis Dubourdieu all’Università di Bordeaux quando il professore esordì con la frase << ricordatevi che la qualità di un vino è come una linea retta con al centro la perfezione, più vi allontanate verso i tali
e più la qualità scende>> a me, che venivo da una facoltà umanistica, un simile concetto richiamò l’idea del bello idealistico, il bello perfetto del Romanticismo, che nella cultura attuale, destrutturata e post moderna, faceva abbastanza sorridere. Mi dissi << ma se il vino è cultura deve essere valutato secondo un concetto più attuale, deve trasmettere messaggi e emozioni non cercare una perfezione astratta, apollinea e lontana dal reale >>.
E in effetti il segmento più evoluto del mercato cerca quella, soprattutto i millennials per i quali la diversità e la naturalezza sono valori importanti nel vino.
Dall’altro lato, tuttavia c’è chi spaccia dei difetti per caratteri tipici e in questo senso è utile leggere un interessante articolo del Professor Luigi Moio dell’Università di
Napoli Federico II << I difetti d’odore, se presenti, sono sempre gli stessi in tutti i vini e in tutte le zone del mondo, indipendentemente dalla varietà di uva, dalle tecniche di coltivazione della vite, dall’età della vigna e dai metodi di vinificazione. Addirittura in modo davvero paradossale essi sono sempre più frequentemente associati a caratteri di tipicità territoriale mentre al contrario i difetti d’odore annullano in modo spettacolare ciò che s’immagina di rendere sensorialmente evidente in un vino, ossia la sua unicità territoriale!>>.
In altre parole certe pratiche produttive biologiche, naturali o biodinamiche non producono una salvaguardia dei caratteri identitari di un vino e neanche ne aumentano il valore qualitativo. Sono solo scelte produttive più rispettose dell’ambiente. Anzi se i caratteri organolettici tipici del vitigno risultano compromessi la qualità si abbassa e non si alza.
Quindi la tipicità è un elemento distinto che va salvaguardato con cura impegnandosi al massimo, in vigna e in cantina, per far esprimere nel miglior modo il suo potenziale. La tipicità dovrebbe comparire fra gli elementi di valutazione dei wine critics, mentre i difetti non vanno scambiati per tipicità perchè rimangono tali in qualunque vino siano.