VERSO UNA NUOVA GEOGRAFIA DEL TURISMO DEL VINO 5
L’attitudine del turista ad essere un “amante infedele” si manifesta nella nuova attrazione verso i territori vulcanici e le cantine dei vini “senza mani”. Il nuovo Turismo del vino
di Donatella Cinelli Colombini
La consacrazione dell’enoturismo da esploratori è arrivata con la 5° edizione dell’Atlante mondiale dei vini di Hugh Johnson e Jancis Robinson, uscito in italiano con un anno di ritardo sull’edizione inglese. Esso mostra una geografia del vino completamente rinnovata e spostata verso i poli. Le nuove parole d’ordine sono: locale, indigeno, sostenibile con biologico-biodinamico in vigna e tecniche meno invasive in cantina.
IL TURISMO COME LE OLIMPIADI COSTRINGERE A COMPETERE SEMPRE
Una evoluzione che costringe le destinazioni enoturistiche più note e più decise a rimanere sul podio, a innovarsi per vincere ancora. Un esempio di questa tattica è Montalcino che ha consolidato il suo primato con grandi eventi di chef tristellati e infrastrutture tecnologicamente avanzate come il Tempio del Brunello o residenze principesche come Argiano riportato all’antico splendore dal banchiere brasiliano André Esteves.
Una strategia simile riguarda la Borgogna dove sta nascendo la Cités des vins con un progetto da 10 milioni di Euro in tre sedi: Beaune, Mâcon e Chablis.
ORGANIZZARE LE PROPOSTE ENOTURISTICHE PARTENDO DALLA PROPRIA REALTA’
Puntare sull’esclusività lussuosa non è l’unica opzione, ogni territorio ha il suo punto di forza da potenziare per accrescere i propri flussi enoturistici.
Tuttavia, le 3 regole da ricordare sono quelle di sempre: offrire qualcosa di unico, organizzarlo sotto il profilo commerciale e farsi conoscere. Infatti senza riflettori e microfoni il cantante sul palco risulta invisibile, anche se è Lady Gaga.
Il dopo covid ci restituirà uno scenario turistico modificato, basato su valori diversi ma forse anche con nuovi protagonisti decisi a farsi largo con grandi investimenti.
La ricchezza italiana di oltre 500 vitigni autoctoni, di piccoli produttori appassionati, di castelli, ville, trulli, resti archeologici … in mezzo ai vigneti, di una gastronomia diversificata e eccellente …. Può agevolare il successo ma da sola non basta, va organizzata in forma turistica e in modo inconsueto senza paura di stare fuori dal coro. Ecco che se un certo vino, per antica tradizione locale, veniva servito in coppette di terracotta insieme a un formaggio salatissimo… perchè non proporre questa esperienza dopo aver gustato lo stesso vino in calici di cristallo abbinato a un pecorino o una mozzarella che magari si abbinano meglio?
SEMPRE MEGLIO PUNTARE SULL’AUTENTICA TRADIZIONE LOCALE CHE ESSERE “BELLI MA COME GLI ALTRI”
C’è un rischio da tenere presente: l’offerta turistica finta, costruita dai professionisti, sembra “più vera del vero” perché corrisponde perfettamente a quello che i visitatori desiderano. Allo stesso modo come i set cinematografici sembrano più veri degli ambienti autentici usati come location dei film. Questo spiega il successo di luoghi come il finto castello medioevale dell’Amorosa in California con la riproduzione dell’affresco del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti (1338-39) nella sala da pranzo. Ha un’organizzazione turistica formidabile e capace di battere qualunque castello medioevale autentico meno pubblicizzato e meno strutturato per la wine hospitality.
PERCHE’ RIFIUTARE I NONLUOGHI DEL VINO
Il falso rimane comunque falso. L’autenticità ha in se la forza delle generazioni che hanno costruito edifici, tradizioni, pratiche vignaiole, sapori, stile di vita, opere d’arte …. e questo è di grande aiuto nel creare un’offerta turistica coerente e attraente. Per questo la salvaguardia dei caratteri identitari è importante e va perseguita per evitare di trasformare ciò che è vero nella falsificazione di sé stesso.
Un processo che, purtroppo, alla fine del Novecento, ha riguardato anche i vini, con una spiccata tendenza all’omologazione. Nelle cantine la perdita di identità locale riguarda le strutture edilizie ma anche alcuni ambienti interni meno condizionati dalle esigenze produttive cioè le aree destinate alla vendita e alla degustazione. Nei progetti delle cantine, le realizzazioni di “archistar” del calibro di Frank Ghery, Calatrava o Renzo Piano, ha spinto moltissimi gli studi professionali verso una creatività lontana dalle tradizioni locali. Nei distretti italiani del vino, spesso caratterizzati da paesaggi agricoli meravigliosi, è invece opportuno usare prudenza e rispetto.
Riguardo agli ambienti interni, il problema è più diffuso. Per arredare questi locali vengono chiamati sempre più spesso degli interior designer. Affidarsi a dei professionisti non è, di per sé, un fatto negativo, può anzi dare prestigio al vino incorniciandolo in un modo più trendy e glamour. Diventa negativo quando decontestualizza le bottiglie e crea un “nonluogo” cioè un ambiente che potrebbe essere a Trento come a Marsala. Ci sono 3 semplici regole che permettono di evitare la perdita di identità: usare materiali del luogo, artigiani del luogo e stile del luogo.