Voglia di natura: vini senza mani
Come e perché un crescente numero di produttori di tutto il mondo sceglie di produrre “senza mani” al naturale con poco o nessun intervento umano
Di Donatella Cinelli Colombini
Cresce la paura per ciò che è manipolato dalla chimica e dalla tecnologia. Negli ultimi anni la sete di profitto unita agli errori degli “scienziati” hanno fatto disastri di dimensioni enormi, mucca pazza al primo posto, mettendo a rischio la salute dei consumatori.
Da questo e da una nuova consapevolezza che collega le scelte alimentari alla salvaguardia della propria salute e dell’ambientale del pianeta, nasce l’orientamento dei consumi verso il bio/biodinamico e il localismo inteso come i km 0, le tradizioni delle nonne, le verdure di stagione e in generale, per quanto riguarda gli italiani, la predilezione per i prodotti nazionali.
VINO SENZA MANI E RICERCA DELLA NATURALEZZA E DELLA TIPICITA’
Nel vino due sono le tendenze più forti: la diversità e la naturalezza. Due concetti che spesso si allacciano uno all’altro a volte, ma non sempre, con buoni risultati perché l’aspirazione a una “natura amica” che fa tutto da sola, almeno per il vino, è solo un sogno romantico.
In realtà più rispetti la natura e più lavoro devi fare o, come dice il californiano Chris Brockway di Broc Cellars <<ci vuole molto lavoro per fare poco>>.
Tuttavia la “vendemmia senza mani” è sempre più di moda e Vicki Denig ha raccolto molto opinioni per Wine Searcher. C’è chi come l’alsaziano Bernard Bohn dice che <<Se un winemaker non ha una mentalità “senza mani” diventa come un pittore che fa solo copie di uno stesso quadro>>, per cui la scelta sarebbe fra un vino commerciale e uno pieno di caratteri autentici e diversità.
LA RINUNCIA AGLI INTERVENTI UMANI ACCRESCE IL LAVORO
Quello del “vino senza mani” è un mondo senza regole codificate da leggi o regolamenti (salvo quelli francesi sui vini naturali), dove ogni produttore ha le sue convinzioni, ma alcuni elementi sono uguali per tutti: uve BIO, minime manipolazioni in vinificazione e nessuna aggiunta salvo poco zolfo.
Come ho detto prima i così detti “vini senza mani” per arrivare all’eccellenza, richiedono tanto lavoro e grandissima maestria. Per questo Tomoko Kuriyama a Savigny-les-Beaune, di Chantereves, spiega che <<quando si lavora con il lievito indigeno, si ha meno sicurezza>>, anche se per lei l’aumento delle variabili e dei rischi rende la vinificazione ancora più eccitante perché l’impronta del terroir diventa più forte e per questo rinuncia anche al controllo della temperatura.
Decisione questa che sta trovando consensi così come la rinuncia alla filtrazione.
LE MIE SCELTE NEL RISPETTO DELLA NATURA E DEL TERROIR
Le mie scelte sono leggermente diverse, anche se il rispetto della natura e l’impronta del terroir sono anche per me le lancette della bussola: le mie vigne sono coltivate in modo biologico, ma uso i lieviti di Montalcino selezionati proprio nella mia azienda Casato Prime Donne, con un lavoro di 8 anni. In vinificazione cerchiamo di evitare l’uso dei sistemi di controllo delle temperature e delle pompe e per questo sono stati acquistati, per il Brunello, i tini troncoconici di cemento. Presto arriveranno anche quelli del Cenerentola. I vini da invecchiamento non sono filtrati e concordo sull’opinione che il filtraggio è uno stress per il vino.
QUALITA’ PRIMA DI TUTTO MA ANCHE MOLTI CARATTERI DISTINTIVI
Sta di fatto che il vino finale deve essere di alta qualità. Su questo punto c’è un consenso unanime anche se la differenza con il vino pensato per piacere al maggior numero possibile di consumatori e quello “senza mani” porta a una concezione diversa anche nel rapporto con chi beve le bottiglie. <<L’idea non è quella di fare il vino come uno yogurt da supermercato che piaccia al maggior numero possibile di persone>> ha detto Bernard Bohn a Wine Searcher <<ma piuttosto un vino vivo, che stimoli chi lo consuma>>.