
Cibo per la mente
11 novembre, Siena Teatro dei Rinnovati convegno di Slow Food Toscana intitolato “Cibo per la mente” . E’ l’occasione per una riflessione su Brunello e cultura
di Donatella Cinelli Colombini
Può un grande vino essere considerato un prodotto culturale? Si, sicuramente si. Oggi cibi e vini fanno parte della cultura dei luoghi al pari delle opere d’arte o del paesaggio. Possono addirittura fare qualcosa in più: possono contribuire a salvaguardare i contesti agricoli di pregio. Il Brunello esemplifica questo concetto.
Il Brunello di Montalcino nasce nel comune di Montalcino che insieme a quelli di Castiglion d’Orcia, Pienza, Radicofani e San Quirico d’Orcia formano il Parco della Val d’Orcia. Un territorio iscritto dal 1999 nel patrimonio dell’Umanità dell’Unesco per le sue piccole città d’arte ma soprattutto per le sue colline coltivate considerate capolavori di paesaggio antropizzato cioè fatto dall’uomo. Salvaguardare l’attività agricola, in questo contesto, equivale quindi alla conservazione di un’opera d’arte.
Ma sopravviverà tanta bellezza all’assalto di milioni di turisti? La Val d’Orcia ha 13.890 residenti e 10.305 posti letto in strutture ricettive. Ai turisti veri e propri vanno poi aggiunti gli escursionisti, il così detto “mordi e fuggi” con oltre un milione di visite giornaliere. Tutto ciò ha innescato un aumento consistente dei pubblici esercizi. Secondo i dati del Centro Studi turistici elaborati per Confesercenti Siena la crescita degli ultimi 10 anni nell’area Val d’Orcia – Monte Amiata è stata del 104% mentre a livello nazionale segna + 71%. I fenomeni di degrado turistico nei centri storici della Val d’Orcia sono consistenti: sostituzione dei negozi di vicinato con le attività turistiche, sparizione degli artigiani sostituiti dalle imitazioni asiatiche dei loro stessi prodotti, cambiamenti che investono lo stile di vita della
popolazione. Insomma una progressiva trasformazione degli antichi centri rurali in “destination” a misura di turista.
Cosa può arginare questo fenomeno e il conseguente processo di massificazione e declino del turismo diretto in Val d’Orcia?
Un’agricoltura di eccellenza.
Un’agricoltura che non significhi marginalità cioè redditi, invecchiamento della popolazione, condizioni di vita inferiori a quelle urbane. Un’agricoltura che consenta il riscatto del mondo agricolo e la conquista di una dignità nuova. Questa agricoltura si chiama Brunello e forse in futuro si chiamerà anche Doc Orcia.
I grandi vini attraggono investimenti, consentono interventi edilizi, colturali estremamente curati e costosi. Mantengono i giovani nelle campagne.
All’agricoltura dei grandi vini possiamo chiedere ancora di più, proporre una scommessa su un futuro ecosostenibile: ridurre l’erosione del suolo , eliminare i diserbi e contenere al massimo gli antiparassitari. Ridurre l’uso di acqua, energia e ridurre le emissioni delle cantine. Insomma mantenere il paesaggio capolavoro protetto dall’Unesco esattamente come se fosse un affresco. Un affresco che deve essere visibile al pubblico, illuminato ma deve conservarsi per i nostri figli, i nostri nipoti.
A quel punto potremo dire, senza riserve, che il vino è cultura e produce cultura.