Fiasco da vino una bella storia toscana
Il fiasco esisteva già nel XIII secolo ma solo nel 1922 fu inventato il sistema per tapparlo ermeticamente e mise le ali alle esportazioni del vino toscano
Di Donatella Cinelli Colombini
Tutto inizia con la scoperta del vetro, sei mila anni fa. E’ invece del primo secolo dopo Cristo la tecnica del vetro soffiato, cioè la bolla d’aria creata soffiando all’interno dell’impasto fuso di sabbia silicica, carbonato di calcio e soda. Ma bisogna aspettare fino alla metà del XIII secolo per trovare in Toscana i “maestri bicchierai” che nella zona di San Gimignano, Gambassi e Montaione avevano le loro fornaci. Nel secolo successivo i vetrai toscani si specializzarono nella produzione di “vetri ottici”, cioè occhiali.
Altra invenzione dello stesso periodo fu il rivestimento dei fiaschi con un’erba palustre comunemente chiamata stiancia (tipha latifolia) proveniente dagli acquitrini della valle dell’Arno.
Il fiasco da vino impagliato si diffuse in tutta l’Italia, anche se con forme e nomi diversi, come le pulcianelle di Orvieto.
Nei secoli successivi il fiasco divenne sinonimo di vino toscano e soprattutto di Chianti. Nel 1574 un bando (legge) granducale fissò la sua capacità a 2,280 litri corrispondenti a “mezzo quarto” volume che veniva certificato da un bollo con il giglio di Firenze nel rivestimento e, in epoca successiva, nel vetro.
Tuttavia fu nell’Ottocento, per opera di Adolfo Laborel Malin, che il fiasco divenne più robusto e nel 1922 fu ideata la tappatura ermetica che ne permetteva la spedizione in grandi quantità mettendo letteralmente le ali alla commercializzazione e soprattutto alle esportazioni dei vini toscani.
La cosa che forse vi sbalordirà è sapere che ancora negli anni ’60 del Novecento, il fiasco continuava ad essere molto usato anche se la sua produzione era ormai più industrializzata e, ai vetri soffiati a bocca, si erano sostituiti quelli fatti a macchina, così come era stata meccanizzata l’impagliatura sostituendo le donne “fiascaie”. Succedeva in quegli anni che i grandi produttori di vino chiedessero alle vetrerie di non esportare fiaschi vuoti. Una richiesta che sembra voler ostacolare la produzione di finto vino toscano, insomma di “tuscan sounding”.
Così come stupisce la dimensione della produzione di fiaschi raggiunta in quegli anni: decine e decine di milioni di pezzi, 40 dei quali destinati all’esportazione. Fu però la diffusione delle bottiglie a decretare la fine del fiasco che pian piano diventò un contenitore di vini di bassa qualità. Insomma un elemento di folclore come le tovaglie a quadretti rossi di certi ristoranti italiani all’estero. Forse per contrastare questa deriva, che ebbe il suo culmine negli orrendi fiaschi con rivestimento di plastica, fu emanata una legge del 1965 che limitava l’uso dei fiaschi ai soli vini di qualità. Legge che probabilmente fu del tutto disattesa.
Più recentemente il fiasco è stato oggetto di un delizioso restyling da parte dell’artista francese Clet Abraham creando un esemplare che la Ruffino ha battezzato con il divertente nome di “Dame-Janine”. Il modello è stato creato dalla Vetreria Etrusca con il nome di Fiorenza.
Questa storia vi affascina? Se la risposta è affermativa visitate la collezione di fiaschi nella Torre Frescobaldi a Montelupo Fiorentino, dove il Signor Bartolozzi, un industriale vetrario (Vetreria Etrusca) di successo, ha onorato la memoria della madre fiascaia creando un museo.