C’è vita fuori dalla rete
A volte diciamo che è per lavoro, altre che è per passare il tempo, altre ancora neghiamo e basta. Ma la verità è che si è troppo connessi. E per vivere bene, bisogna staccare.
Letto per voi da Bonella Ciacci
Molte delle persone che leggeranno questo articolo non si riconosceranno nelle caratteristiche di chi soffre della sindrome da vuoto digitale. Alcuni temo però stiano mentendo a loro stessi.
La sindrome da vuoto digitale è ormai una realtà, tanto che nel 2012 venne inserita nel DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), con il termine tecnico di IAD (Internet Addiction Disorder). Si tratta sostanzialmente dell’ossessione da connessione, del bisogno patologico di essere sempre connessi, tramite pc o altri device (smartphone, tablet, etc). Questo disturbo fu già proposto dallo psichiatra americano Ivan Goldberg, indicando alcuni “sintomi” o campanelli di allarme che ci possono avvisare dell’insorgere del problema. Kimberly Young ha poi successivamente elaborato un test per verificare la presenza di questa sindrome, lo IAT (Internet Addiction Test).
Provate sinceramente a domandarvi se vi riconoscete in uno o più punti che gia il Dottor Goldberg mise a punto, e siate sinceri con voi stessi:
1.bisogno di trascorrere un tempo sempre maggiore in rete per ottenere
soddisfazione;
2. marcata riduzione di interesse per altre attività che non siano Internet;
3. sviluppo, dopo la sospensione o diminuzione dell’uso della rete, di agitazione psicomotoria, ansia, depressione, pensieri ossessivi su cosa accade on-line, classici sintomi astinenziali;
4. necessità di accedere alla rete sempre più frequentemente o per periodi più prolungati rispetto all’intenzione iniziale;
5. impossibilità di interrompere o tenere sotto controllo l’uso di Internet;
6. dispendio di grande quantità di tempo in attività correlate alla rete;
7. continuare a utilizzare Internet nonostante la consapevolezza di problemi fisici, sociali, lavorativi o psicologici recati dalla rete.
La verità è che non sarà facile essere del tutto sinceri e onesti. Perché abbiamo le nostre buone ragioni e scusanti per stare sempre al pc, sempre a controllare le email e i post nei nostri account sui vari social network, e sempre con il telefono in mano. Un professionista si attaccherà alla scusa che non può farne a meno, per lavoro. Uno studente perché la maggior parte del materiale lo reperisce in rete, e perché magari così si tiene in contatto con gli amici che sono più lontani. Anche una casalinga potrebbe dire che utilizza la rete e i social per uno svago dal quotidiano.
Siamo dipendenti dalla connessione e dalla condivisione, questa è la realtà. Con questo non voglio dire che siamo già tutti a livello patologico, o almeno, spero vivamente non sia così. Ma se proviamo ad analizzare il nostro quotidiano, noteremo come questo è cambiato notevolmente. Non c’è festa, vacanza, gita fuori porta, cena con gli amici, espressione buffa del cane/gatto o altro del quotidiano che non fotografiamo, postiamo, raccontiamo e commentiamo. E dopo averlo fatto, stiamo lì, ansiosi, a vedere quanti ci hanno risposto, quanti hanno messo il “mi piace”, quanti ci hanno considerato. Come se ciò che viviamo non lo vivessimo realmente, se non viene condiviso con tutta la rete (almeno quella che ci considera, ovviamente). In un recente articolo su Vanity Fair, Camilla Strada parla appunto della “FOMO”, ovvero Fear of Missing Out, che sta “paura di perdersi qualcosa.
L’effetto collaterale che temo di più è però lo scollamento che si sta creando tra vita reale e vita “digitale”. E lo slittamento per cui la seconda sembra stia pian piano soppiantando la prima. Volete un esempio? Vi lascio questo video, geniale, che è stato pubblicato su Repubblica.it un po’ di tempo fa. E con una riflessione: non saremmo forse tutti più felici, se riuscissimo a goderci la nostra vita essendo presenti sul momento, anziché deformarne il ricordo, e farsela piacere solo perché abbiamo fatto credere agli altri che è bellissima?
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