
I miei ricordi di Federico Fellini
Vi racconto i miei incontri, a Montalcino, con il più grande regista italiano, Federico Fellini e con sua moglie Giulietta Masina
Visto per voi da Donetella Cinelli Colombini
Avevo 10 o 20 anni e quell’uomo era un mito, una fama talmente gigantesca di genialità che intimidiva gente molto più attrezzata di me e, davanti a lui, non riuscivo a proferire parola.
Federico Fellini e sua moglie venivano in Toscana per “passare le acque” a Chianciano. Da li arrivavano a Montalcino per spezzare la monotonia della cura e forse anche per fare qualche stravizio. Spesso li accompagnava Mario Guidotti o il giovanissimo Fabio Carlesi.
Fellini era sempre in disordine come se odiasse farsi stirare i vestiti. La moglie invece era sempre impeccabile con i capelli ben pettinati e i vestiti senza una piega. Il Maestro parlava poco ma si guardava intorno con curiosità e si interessava di vino. Amava la buona tavola per cui mia madre lo attraeva con arrosti e Brunello.
Era anticonformista in modo così spontaneo da lasciare interdetti. Una volta avevamo organizzato per lui una cena in
giardino ma era freddo. Gli proponemmo varie cose per coprirsi e lui scelse un orribile scialle rosso di maglia con delle lunghe nappe. Sarebbe stato volgarotto su qualunque donna ma lui se lo drappeggiò addosso godendo del nostro imbarazzo. Un’altra volta arrivò inaspettato mentre i miei genitori erano fuori e io avevo la casa piena di amici per una merenda. Lui si unì al gruppo addentando pane e prosciutto.
Ma c’è un episodio che ricordo di più. Anche in quel caso ero sola in azienda e Federico Fellini venne per comprare del Brunello da spedire a Georges Simenon. A quel tempo l’ufficio dell’azienda era uno stanzino con una sola macchina da scrivere portatile e lui si mise alla tastiera per scrivere la lettera di accompagnamento della scatola del vino. Non era possibile cancellare e ogni volta che faceva un errore di battitura o voleva cambiare il testo era costretto a togliere il foglio e ricominciare. Quando andò via il cestino dell’ufficio era pieno di brogliacci scritti in un meraviglioso italiano e pieni di riferimenti ironici al suo rapporto con il padre dell’Ispettore Maigret. Sono sempre stata molto rigida nel rispetto delle regole e, da buona padrona di casa, distrussi quelle carte ma ho sempre rimpianto di non essere stata più indiscreta conservando i ricordi “rubati” di uno degli uomini più geniali che abbia mai conosciuto.