
Lieviti indigeni non caratterizzano il vino
Gli studi dell’Università di Bordeaux sui lieviti “di terroir” rivoluzionano le convinzioni sulle vinificazioni spontanee: i lieviti indigeni sono ininfluenti

Montalcino-mosto-in-fermentazione-Casato-Prime-Donne
Di Donatella Cinelli Colombini
I lieviti indigeni sono troppo pochi e troppo simili a tutti gli altri per influenzare le caratteristiche del vino. Questo emerge dagli studi di Isabelle Masneuf-Pomarède presentati alla Cité du Vin a Bordeaux che ha scatenato reazioni in tutto il mondo.
L’argomento è complesso e per capirne i caratteri bisogna spendere qualche parola in più.
LUIGI MOIO E LE FERMENTAZIONI SPONTANEE
E’ qualcosa su cui Luigi Moio batte da tempo dicendo che le fermentazioni spontanee sono capaci di creare più rischi che benefici, sorprendentemente proprio nelle buone vendemmie.
Ora arriva una prova scientifica che tocca un nervo scoperto della comunità del vino: i lieviti indigeni sono troppo pochi e troppo simili agli altri per caratterizzare il vino in modo territoriale. Quasi a dire che i caratteri quasi “dialettali” derivanti dalle fermentazioni spontanee sono collegabili agli effetti dei lieviti apiculati e ossidativi che si bloccano solo quando l’alcool comincia a salire e l’ossigeno comincia a scarseggiare lasciando spazio ai lieviti fermentativi. Secondo Luigi Moio, essi <<producono anche rilevanti quantità di “scarti” indesiderati, il principale dei quali è l’acido acetico>> già questo è un bel problema (e spiega la maggiore durata delle fermentazioni spontanee) ma ce n’è anche un altro <<alcuni ceppi, sia tra quelli lenti sia tra quelli rapidi …. possono generare quantità sensorialmente percepibili di odori repulsivi d’idrogeno solforato o di anidride solforosa>>.

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LA DIFFERENZA FRA I DIFETTI E LA TIPICITA’
Per questo, i bravi vignaioli preparano il “pied de cuve” cioè una piccola quantità di mosto ottenuto da fermentazione spontanea qualche giorno prima. Esso viene aggiunto all’uva pigiata che arriva nel tino per far aumentare velocemente la sua popolazione di lieviti fermentativi soverchiando gli altri due. Un metodo naturale che, tuttavia non è diffusissimo. Anzi c’è chi, anche fra i critici, apprezza come un marchio di tipicità, i difetti innescati dai lieviti apiculati e ossidativi.
LA SELEZIONE DEI LIEVITI INDIGENI DI MONTALCINO AL CASATO PRIME DONNE
Noi abbiamo partecipato alla selezione dei lieviti di Montalcino realizzata nei laboratori della ditta che si chiamava Enobiotech e ora è la Eenofrance.
Partendo da un mosto prodotto nel vigneto del Casato Prime Donne furono individuati 400 lieviti per trovarne 8 e infine due specifici della zona e buoni fermentatori. Oggi il lievito è in vendita con il nome Tosco e può essere usato dalle cantine di Montalcino desiderose di dare al vino un carattere identitario. Tuttavia arrivare a questo risultato non è stato semplice: al Casato Prime Donne fu costruita una tinaia esterna con 8 vini a cappello aperto, accanto al vigneto. Questo per vinificare senza che i lieviti industriali, usati nel locale di fermentazione, contaminassero i tini in cui avveniva la sperimentazione.
LA DIFFUSIONE DEI LIEVITI INDIGENI E DI QUELLI INDUSTRALI
E’ infatti la diffusione di lieviti industriali nei distretti enologici, l’elemento su cui vale la pena riflettere, in relazione alla ricerca di Isabelle Masneuf-Pomarède, enologa e docente a Bordeaux Sciences Agro, sui lieviti indigeni che mi appresto ad illustrare.
I lieviti industriali, sono una popolazione contaminante che si insedia nell’area in cui vengono usati. I lieviti sopravvivono, in inverno, nell’addome delle vespe sociali e quindi rimangono in maniera permanente nella zona crescendo anno dopo anno, in maniera proporzionale al numero di cantine che li usano. Ovviamente a Bordeaux tale densità è altissima e questo potrebbe aver influito sui risultati dello studio della Masneuf-Pomarède. La sua risultanza è infatti che nei vigneti di Bordeaux sono presenti singoli “ceppi di lievito terroir” <<solo su un acino su mille. Possono essere selezionati e moltiplicati per la fermentazione. Ma il concetto di ‘lievito di terroir’ , nel senso di un ceppo di lievito presente esclusivamente in un dato appezzamento o in un’annata , non può essere scientificamente provato>>.
I LIEVITI INDIGENI SONO REALMENTE DIVERSI?
Le risultanze scientifiche ottenute da Isabelle Masneuf-Pomarède confermano gli studi di Patrick Lucas, professore di enologia all’Institut de la vigne et du vin (ISVV) dell’Università di Bordeaux e dei precedenti lavori di Jackson Peter all’Università di Strasburgo. Quest’ultimo ha studiato più di 1.000 ceppi di Saccharomyces cerevisiae provenienti da diversi vigneti in Europa, Nord America e Asia, dimostrando la mancanza di differenze tra i ceppi in base alla loro origine geografica. Isabelle Masneut Pomaréde ha isolato 2.422 ceppi di Saccharomyces cerevisiae in tini in fermentazione spontanea per due anni consecutivi ed ha analizzato da 15 a 17 marcatori microsatelliti notando una diversificazione modesta dei ceppi. Tuttavia anche lei, in un precedente studio, aveva rilevato una evoluzione della popolazione batterica del vigneto con la diffusione dei lieviti industriali.
LA POSIZIONE DEGLI STUDIOSI USA
Alla fine si evidenzia una convergenza del mondo accademico e un fermo contrasto alla teoria, di provenienza americana, secondo cui le comunità microbiche siano diverse a seconda delle regioni viticole e possano imprimere caratteri specifici ai profumi e al gusto del vino. Alla fine del 2013 uscì un articolo scientifico di David A. Mills, professore di microbiologia del vino all’Università di Davis in California. Egli aveva studiato la popolazione di microrganismi in 273 campioni di mosto provenienti da tre diverse regioni, la Central Coast, Sonoma e la Napa Valley, in tre anni, dimostrando che, a seconda dell’area, di produzione microbica variava. Mills ipotizzava che ciò induca conseguenze sulle caratteristiche del vino. Tutti i ricercatori francesi dicono di no.
L’ESPERIENZA AL CASATO PRIME DONNE DI MONTALCINO
Dalla mia esperienza personale questo è vero, anzi è sempre più vero via via che la popolazione di lieviti industriali colonizza l’area in cui viene usata. Dalle cantine i batteri contaminano i vigneti intorno così come le vespe sociali e i calabroni che volano sulle piante e fanno in modo che i batteri sopravvivano in modo permanente. L’unica strada possibile è selezionare i ceppi indigeni e usare quelli come abbiamo fatto noi al Casato Prime Donne per il Brunello e come hanno fatto da Dal Forno nell’Amarone.