Saranno di nuovo i cavalli a coltivare le vigne?
La coltivazione dei vigneti con i cavalli è l’espressione estrema della naturalezza e della ricerca qualitativa: da Romanée Conti a Gianfranco Fino
Letto per voi da Donatella Cinelli Colombini
A prima vista l’argomento sembra una provocazione, un’agricoltura autarchica, dove piccole superfici vengono coltivate, con la sola forza dei muscoli, per ottenere verdura da milionari. Invece, il ritorno agli animali da tiro, è la più sofisticata aspirazione a una naturalezza totale e a un’eccellenza qualitativa estrema.
Lo spunto arriva da un articolo di Luciano Ferraro su “Divini”, il blog del “Corriere della Sera” , che ha un titolo esplicito: Il ritorno dei cavalli nelle vigne.
Sembra una provocazione perché io mi ricordo la campagna toscana con le vacche (femmina del bue) di razza Chianina, bianche e imponenti, che trainavano gli aratri e i carri per coltivare i poderi. Il lavoro nei campi era estenuante e l’arrivo dei trattori segnò l’affrancamento da quella che sembrava un’eredità dei servi della gleba. Eppure chi va in Borgogna vede grossi cavalli da tiro – l’equivalente delle vacche toscane – ovunque. La mia cantiniera
Barbara Magnani è stata nei vigneti del pinot noir, la scorsa primavera, ed ha chiesto ai vignaioli perché usano così tanto i cavalli sentendosi rispondere che compattano la terra dei vigneti meno dei trattori e soprattutto costano meno dei trattori. Questo forse è vero; ho appena pagato 39.000 € per nuovo piccolo trattore per le vigne.
Tuttavia quella che credevo fosse un’esclusiva di Romanée Conti, che ha diffuso nel mondo le immagini dei suoi vigneti coltivati con i cavalli, è invece una pratica comune di tutta la Borgogna. Direte << se lo possono permettere visto che, anche le petite cave, vendono le loro bottiglie oltre i 100€ l’una>>.
Tuttavia l’utilizzo delle bestie da tiro nei vigneti va preso sul serio, soprattutto per chi, come noi pratica l’agricoltura biologica. Infatti, se da un lato la quantità di chimica di sintesi, nel vigneto viene ridotta, dall’altro aumenta l’inquinamento ambientale derivante dai continui passaggi dei trattori.
In Italia il caso più noto è quello di Gianfranco Fino che fa arare il vigneto, con piante di 80 anni, per la produzione del vino Es, da un grosso cavallo da tiro di razza Murgese che si chiama Bruno.
La lunga intervista a Gianfranco Fino, è infatti il cuore dell’articolo di Luciano Ferraro, che sicuramente leggerete con piacere. Dopo la Puglia vi porta da Henry Finzi-Constantine del Castello di Tassarolo, provincia di Alessandria, che organizza corsi per coltivare la terra con cavalli da tiro. Si tratta di un modo più naturale e ecocompatibile per lavorare in campagna, invece di trattori sempre più tecnologici. Ma anche qualcosa di poco conciliabile con i costi di produzione e i prezzi di vendita che un mercato sempre più difficile impone agli agricoltori. Ecco che l’ipotesi un crescente divario fra l’agricoltura della qualità e quella dei bassi prezzi diventa realistica e non solo nel vino.