Gian Antonio Stella La casta e il vino
Il giornalista che ha sconvolto l’Italia denunciando il malaffare politico-amministrativo ci rivela all’Expo come il cibo e il potere vadano a braccetto
Di Marzia Morganti – Martecomunicazione per Donatella Cinelli Colombini
Garibaldi era astemio, il suo piatto preferito era pane e pecorino, accompagnato quando era stagione, da una manciata di fave fresche. Gradiva molto anche il baccalà e lo stoccafisso il Conte Camillo Benso di Cavour un gran buongustaio. L’ho scoperto frequentando Expo dove il tema portante è ‘nutrire il pianeta’ e il Corriere della Sera ha organizzato un incontro con Gian Antonio Stella. E’ un mito! Simpatico e schietto senza mai cadute di stile, un vero signore del giornalismo italiano. Il suo libro più famoso, La Casta, scritto a quattro mani con Sergio Rizzo, ha venduto 1.300.000 copie e ha stampato ben 24 edizioni ed ha contribuito in modo sostanziale a diffondere la
coscienza critica sugli abusi della politica e dell’amministrazione pubblica. Lo abbiamo incontrato in una veste diversa, come esperto di storia della gastronomia, ci voleva Expo! Ha esordito offrendo un caffè a tutti i presenti, <<sì perché il caffè del Corriere è meglio di quello di Repubblica!>> Poi ha iniziato il percorso ‘La tavola e il potere’, con auditori d’eccezione: Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole e Dario Nardella, Sindaco di Firenze. <<Tutto ciò che viene mangiato è oggetto di potere>>, partendo da questa metafora ha analizzato il potere attraverso una lente rivelatrice: quella del rapporto dei potenti e il potere che spesso proprio attraverso i modi di assumere il cibo si autocelebrano come tali. È un tema, quello dei “modi a tavola” e della socialità o della sua negazione, che attrae
l’attenzione di filosofi, antropologi, storici, sociologi. Fino dall’antichità, e nelle più diverse culture, i modi di assumere cibo erano ritenuti capaci di rivelare le attitudini individuali e sociali all’interno di una comunità. Ecco che in occasione dei festeggiamenti per l’anniversario dei 2500 anni della nascita dell’impero persiano, lo scia di Persia, Mohammad Reza Pahlavi (ha governato l’Iran dal 16 settembre 1941 fino alla Rivoluzione Islamica dell’11 febbraio 1979, secondo e ultimo monarca della Dinastia di Pahlavi) decide di organizzare a Persepoli, nel 1971, delle celebrazioni che mai si erano viste prima con l’invito a ben 71 capi di Stato stranieri tra cui
regnanti da tutto il mondo e migliaia di persone con migliaia di comparse tutte in costume che rappresentavano il segno del potere. Portarono addirittura navi in mezzo al deserto, ma soprattutto organizzarono sfilate di carri e cavalieri e finalmente tutti a cena sotto 50 tende costruite per l’occasione e sotto questo tendone immenso portarono tutti i cuochi di noti hotel di Parigi, Saint Moritz e Montecarlo. Furono offerte montagne di caviale e di tutti i cibi di lusso che si possono immaginare. Fatto sta che il commento dell’Ayatollah Khomeyni fu feroce, lo definì il festival di Satana e di lì partì il processo che avrebbe portato alla rivoluzione khomeinista di cui ancora oggi subiamo le conseguenze. Il cibo è testimone nella storia ed anche nella religione tanto che il profeta Isaia (Isaia 25,6.7-9) dice che per la fine del mondo il Signore … ‘preparerà un banchetto di grasse vivande, di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati’. Non solo la Bibbia ma anche la letteratura è piena di testimonianze di significativi banchetti come nell’Iliade (libro IX) o quello a chiusura dell’Odissea, dove Ulisse regola i conti con i Proci proprio attraverso un banchetto. Si scopre che l’etilometro non è un’invenzione moderna in quanto anche Dioniso (commedia di Eubolo, IV secolo a.C.) consiglia per i bevitori assennati di bere tre coppe non di più, la prima per la salute di chi beve, la seconda risveglia l’amore e il piacere, la terza invita al sonno. La successione dell’importanza di chi mangia per primo la definisce Noctero Balbulo riguardo a Carlo Magno ‘quando Carlo mangiava, lo servivano i
duchi o i capi o i re di diverse popolazioni, i quali mangiavano successivamente per classi per giungere infine ai pasti degli ufficiali. Che gli sprechi sul cibo non siano nati nell’era del consumismo e su come ciò non sarebbe stato possibile se ci fosse stato al tempo il messaggio di Papa Francesco, lo mette in mostra il banchetto preparato per le nozze di Jeanne Trian nipote di Giovanni XXII Avignone nel 1324 in cui furono mangiati 8 buoi, 55 montoni, 8 maiali, 4 cinghiali, 22 capponi, 690 polli, 580 pernici, 270 conigli 40 piccioni, 37 anatre, 4 gru, 2 fagiani, 2 pavoni, 292 uccellini, 3000 uova e 4012 pani o il matrimonio di Nannina de Medici con Bernardo Rucellai nel 1466 in cui i Rucellai per mettere in evidenza che erano degni di imparentarsi con i Medici misero in tavola ogni ben di dio tra cui 50 barili di Trebbiano, 70 di Vermiglio e 1500 uova per le frittelle per un pranzo di nozze che inizio di domenica mattina e si concluse di martedì sera, come pantagruelica fu la cena del Cardinal Jean du Bellay (Roma 1551) in cui furono servite ben 1500 pietanze. E gli ingordi e golosi ci son sempre stati come Carlo V il quale faceva penitenza e si frustava, ma la mattina appena sveglio mandava giù un cappone mentre a mezzogiorno preferiva acciughe e ostriche e pesce accompagnati da litri di birra e vini del Reno. Di quanto personale ci fosse bisogno per imbastire tali banchetti lo si evince dalla lista del personale di casa Medici che nel 1569 elenca tutti i nomi dello scalco del trinciante, del credenziere, del dispensiere e via di seguito, personale di servizio anche utile per servire il pranzo di Cosimo de’ Medici con Eleonora da Toledo che per il loro matrimonio nella cantina segreta avevano 387 barili per 176 ettolitri! Giungendo ad una storia più recente anche i luoghi di celebrazione sono sempre molto significativi, uno dei più curiosi è certo quello tenutosi nel 1911 con le autorità poco prima dell’inaugurazione all’interno della pancia della statua equestre di Vittorio Emanuele II al Vittoriano, attualmente teatro principale dei festeggiamenti del 2 giugno, la figura a cavallo di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, fu realizzata fondendo 50 tonnellate di bronzo, ricavate da cannoni forniti dal Ministero della Guerra, le dimensioni sono gigantesche: è lunga 10 metri ed alta 12.