La cultura fa bene al vino
Veronelli, Cernilli, Buonassisi, D’Agata, O’Keefe come intellettuali provenienti da altri ambiti culturali fanno cambiare la produzione e il consumo del vino
di Donatella Cinelli Colombini
In genere le contaminazioni aprono la mente, fanno guardare le cose da altri punti di vista e mettono in crisi le convinzioni consolidate, insomma spingono in avanti la fantasia e la ragione.
Anche nel vino avviene la stessa cosa. Sono essenziali l’agronomo l’enologo ma non bastano perché il vino è cultura, cioè esprime la civiltà umana che lo produce e con essa si evolve nel corso del tempo.
I FILOSOFI VERONELLI E CERNILLI, IL MEDICO D’AGATA E IL SUPER ECLETTICO BUONASSISI
Per questo le voci “fuori dal coro” fanno fare autentici salti in avanti al concetto complessivo di enologia. Pensate a filosofi come Luigi Veronelli e, in anni più recenti, Daniele Cernilli. Due giganti che hanno rivoluzionato il modo di produrre e soprattutto di bere. Oppure pensate a medici come Ian D’Agata, italo canadese che ha seguito la sua passione per il vino invece di una promettente carriera accademica a Harvard. Ian ha una mente enciclopedica e un modo di elaborare informazioni complesse che gli viene dall’esperienza di ricerca e diagnosi. Tornando indietro nel tempo, il più eclettico di tutti: Vincenzo Buonassisi. Noi lo conosciamo come enogastronomo e giornalista ma se andate a cercare gli autori del brano “Mi va di cantare” interpretato al Festival di Sanremo del 1968, ci trovate il suo nome.